Pubblicato il: 21/07/2017

Nature Communication pubblica lo studio internazionale sul gene che regola la capacità del tessuto adiposo di bruciare i grassi e di disperderli sotto forma di calore, coordinato dal gruppo guidato da Maurizio Crestani del Laboratorio "Giovanni Galli" di biochimica e biologia molecolare del metabolismo e di spettrometria di massa - Dipartimento di Scienze farmacologiche e biomolecolari dell'Università Statale di Milano.

Ricercatore al microscopio

Ricercatore al microscopio - Foto tratta da Archivio istituzionale

Inattivando un gene (istone deacetilasi 3, HDAC3) che regola la struttura e la funzione di porzioni specifiche dell’informazione genetica, i ricercatori della Statale hanno osservato un cambiamento radicale del metabolismo nel tessuto adiposo bianco, che rappresenta la sede principale per l'accumulo di grasso quale riserva di energia nei mammiferi.

L'inattivazione della istone deacetilasi 3 nel tessuto adiposo provoca infatti l'aumento del metabolismo ossidativo dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule. La maggiore attività ossidativa dei mitocondri consente di "bruciare" in modo più efficiente i grassi accumulati in questo tessuto che gioca un ruolo fondamentale nell'obesità.

Inoltre, in seguito all'inattivazione dell'istone deacetilasi 3, il tessuto adiposo bianco subisce una parziale trasformazione che permette di disperdere l'energia dai grassi sotto forma di calore, una caratteristica che lo rende più simile al tessuto adiposo bruno, il quale normalmente contribuisce a mantenere la temperatura corporea nei mammiferi soprattutto in risposta allo stimolo del freddo.

I risultati evidenziano nuovi meccanismi di regolazione delle cellule adipose la cui comprensione potrebbe aprire la strada a nuove terapie per l'obesità, una patologia in crescita che comporta grossi rischi per la salute.

Lo studio è stato condotto anche grazie al sostegno di Fondazione CARIPLO nell'ambito del Bando per il sostegno di progetti di ricerca sulle malattie legate all'invecchiamento e si è avvalso della collaborazione dei ricercatori dell'Università di Losanna (Svizzera), della Vanderbilt University a Nashville Tennessee (USA) e dell'Istituto Scientifico San Raffaele di Milano.

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