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Dazi USA: scenari e impatti sull’economia globale della guerra commerciale
La guerra dei dazi potrebbe danneggiare solo pochi paesi, a patto che gli Stati Uniti trovino un accordo con tutti gli altri. È quanto emerge da uno studio economico, condotto da Luca Macedoni, docente di Economia Politica al dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università Statale di Milano, insieme ad alcuni colleghi internazionali, che esamina le implicazioni dei dazi del così detto “Giorno della Liberazione”, analizzando il loro potenziale impatto sull'economia statunitense e globale. Per capire perché, lo studio – pubblicato su National Bureau of Economic Research – compie prima un’analisi generale, per poi simulare alcuni scenari possibili.
Gli Stati Uniti potrebbero trarre beneficio dalla politica dei dazi e ridurre il proprio deficit commerciale solo nel caso in cui i partner commerciali non rispendessero con ritorsioni. Tuttavia, i relativi guadagni in termini di benessere complessivo per l’economia americana sarebbero comunque decisamente modesti se non praticamente inesistenti. Inoltre, questi limitati benefici per gli Stati Uniti comporterebbero costi elevati per alcuni partner commerciali molto stretti, in particolare per il Canada, il Messico e diverse economie del Sud-Est asiatico, per le quali le esportazioni verso gli Stati Uniti costituiscono una quota significativa del PIL.
Qualora invece, come sta avvenendo, i partner commerciali rispondessero alla guerra commerciale mettendo dei dazi a loro volta nei confronti dei prodotti statunitensi, l’economia globale e quella degli stessi Stati Uniti ne uscirebbe indebolita. In un simile scenario, gli Stati Uniti subirebbero infatti una perdita di benessere di quasi il 3,8%, calcola lo studio. Sebbene le ritorsioni mitighino alcune perdite per i partner commerciali statunitensi, inoltre, queste non sarebbero comunque eliminate, producendo anche in quei paesi perdite di benessere dal 7,2% al 3,1%. La guerra tariffaria che deriva da dazi e controdazi, in ultima analisi, costituisce un perfetto esempio del "dilemma del prigioniero", nel quale tutte le parti coinvolte escono danneggiate. In definitiva, il commercio globale in percentuale del PIL si contrarrebbe di circa l'11% e l'occupazione mondiale diminuirebbe di circa l'1,1%. Insomma, con la guerra dei dazi gli Stati Uniti potrebbero anche ridurre seppur modestamente il loro deficit commerciale ma solo a un costo economico elevato per sé stessi e per i loro partner.
Lo studio include anche una disaggregazione geografica degli effetti dei dazi sui singoli paesi del mondo, mostrando che, pur con alcune criticità settoriali, l’Italia non risulta tra le economie più colpite. La perdita di benessere stimata è contenuta, intorno allo 0,2%, mentre la riduzione dell’occupazione si aggira sullo 0,1%. Tuttavia, alcuni comparti strategici esposti verso il mercato statunitense potrebbero subire conseguenze significative, anche in assenza di misure ritorsive.
Lo studio simula infine uno scenario nel quale i dazi a livello globale si attestino sulla soglia minima del 10%, mentre vengano applicati dazi più consistenti solo all’UE e/o alla Cina. In questo scenario, gli Stati Uniti, la Cina e il resto del mondo subirebbero minori perdite di benessere, mentre l'UE subirebbe una perdita marginalmente più pronunciata. Sebbene alcuni paesi dell’UE, infatti, potrebbero beneficiare di una guerra commerciale a pieno titolo, questi benefici svanirebbero qualora gli Stati Uniti stipulassero una tregua con altri paesi. Anche la Cina subirebbe perdite minori rispetto a una guerra commerciale a tutti gli effetti tra Stati Uniti e tutti gli altri paesi del mondo, poiché i dazi introdotti dagli Stati Uniti produrrebbero in questo caso un abbassamento dei salari nei piccoli paesi del Sud-est asiatico che competono con la Cina sui mercati globali, incoraggiando gli acquirenti globali a spostarsi dai fornitori cinesi a quelli del Sud-est asiatico.
In uno scenario in cui, invece, gli Stati Uniti riducessero i dazi al 10% all’Unione Europea e a tutti i paesi del mondo ma non alla Cina, determinando con quest’ultima una guerra commerciale di dazi e controdazi, sia gli Stati Uniti che l'UE ne trarrebbero vantaggio rispetto allo scenario precedentemente descritto, mentre sarebbe solo la Cina a subire perdite di benessere rilevanti.
“I dazi così come sono stati introdotti”, dichiara Luca Macedoni, “non sono comunque stati strutturati in modo ottimale per massimizzare i guadagni in termini di scambi commerciali, riscossione delle entrate e riduzione del deficit commerciale. Abbiamo calcolato che un dazio progettato in modo ottimale avrebbe dovuto prevedere un'aliquota uniforme di circa il 19% applicata equamente a tutti i partner commerciali. Un dazio così non discriminatorio avrebbe infatti praticamente raddoppiato i guadagni in termini di benessere per gli Stati Uniti, generando al contempo maggiori entrate e ottenendo maggiori riduzioni del deficit commerciale, sempre a patto che nessun Paese rispondesse con ritorsioni. Certamente però, in questo caso, applicandosi in modo uguale a tutti i paesi, non avrebbe risposto alla volontà di determinare un nuovo ordine politico commerciale nell’economia globale”.
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Luca Macedoni
Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi
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