Pubblicato il: 08/07/2021

Nel corso della preistoria e della storia, le pratiche funerarie hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella definizione identitaria dei gruppi umani di tutto il mondo. Spesso queste pratiche hanno stimolato manifestazioni architettoniche imponenti, con l’edificazione di solenni monumenti funerari che si sono armonicamente inseriti nell’ambiente, dando luogo a sorprendenti panorami. Il succedersi nello stesso territorio di diversi gruppi umani, ognuno con le proprie pratiche culturali, ha prodotto complesse stratificazioni di paesaggi funerari che si sono integrati all’ambiente naturale che li ospita. Tuttavia, la loro lettura può essere ardua, come nel caso delle migliaia di tombe monumentali in pietra della regione di Kassala, nel Sudan Orientale.

Nel dicembre del 2019, una missione archeologica dell’Università di Napoli “L’Orientale”, diretta da Andrea Manzo e in collaborazione con la National Corporation for Antiquities and Museums di Khartoum, ha identificato e mappato su un’area di 4000km2 circa 800 tumuli (risalenti al primo millennio dC) e 11.000 tombe islamiche (XVI-XVII secolo dC), dette qubba. Dei tumuli e delle qubba della regione di Kassala non si hanno notizie nelle fonti storiche, e la loro origine è misteriosa per le stesse popolazioni del luogoTuttavia, gli abitanti odierni le trattano con reverenza e talvolta seppelliscono i loro defunti in loro diretta prossimità. Per offrire un’interpretazione del paesaggio funerario, geoarcheologi dell’Università Statale di Milano, coordinati da Andrea Zerboni, de “L’Orientale” di Napoli e della University of Newcastle hanno messo a punto, nei mesi successivi all’attività di campo e con una fruttuosa collaborazione da remoto obbligata dall’inizio della pandemia da Covid-19, una procedura di analisi geospaziale basata sul confronto tra la distribuzione delle tombe e la caratterizzazione geologica e geomorfologica della regione.

I risultati hanno svelato l’esistenza di processi sociali stratificati nella realizzazione di tumuli e qubba. Le tombe, infatti, sarebbero state costruite sfruttando opportunisticamente la topografia e le risorse naturali del territorio, cioè in luoghi dolcemente rilevati circostanti affioramenti di rocce che sfaldandosi fornivano le lastre necessarie alla loro realizzazione. Inoltre, la forma e la dimensione dei raggruppamenti di tombe, che dal punto di vista statistico assumono la medesima distribuzione degli ammassi di stelle nelle galassie, raccontano la storia millenaria, ma ancora in corso, delle traiettorie sociali della regione, basate probabilmente su complesse affiliazioni genealogiche di gruppi caratterizzati da uno stile di vita fortemente mobile. Ne emerge un emblematico caso di continuità culturale, evidenziato dall’ancestrale senso di appartenenza dei gruppi di popolazioni Beja che vivono nella regione da lungo tempo.

L’avanzato modello di analisi geospaziale messo a punto in questa ricerca offre un nuovo strumento per lo studio di contesti archeologici di zone remote, dove gli orizzonti culturali si estendono geograficamente oltre la portata delle esplorazioni archeologiche tradizionali e il record archeologico è minacciato da conflitti, sfruttamento delle risorse naturali e cambiamenti climatici.

Link allo studio pubblicato su Plos One. 

 

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