Pubblicato il: 17/06/2021
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 I pianeti si formano all’interno di dischi composti da gas e polvere, in accrescimento sulla stella centrale. Ma qual è la massa contenuta nel disco, e quindi disponibile per la formazione dei pianeti? Due articoli pubblicati oggi su Astrophysical Journal e Astrophysical Journal Letters da parte di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano sono riusciti a rispondere a questa fondamentale domanda.

La nuova generazione di telescopi e, in particolare, il radiotelescopio ALMA (Atacama Large Millimiter Array) nel deserto di Atacama in Cile, negli ultimi tempi ha rivoluzionato lo studio dei dischi protostellari e dei processi di formazione stellare e planetaria. Lo sviluppo di nuovi modelli teorici e numerici, e il confronto di questi modelli con le osservazioni ad alta risoluzione ottenute grazie alle nuove strumentazioni, sono gli obiettivi intorno ai quali è stato costituito il network di DUSTBUSTERS (Dust and gas in planet forming discs), un progetto coordinato da. Giuseppe Lodato, docente di Astrofisica teorica presso il dipartimento di Fisica "Aldo Pontremoli" dell’Università degli Studi di Milano, e finanziato dal Programma quadro per la ricerca e l’innovazione, Horizon 2020.

 

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Il progetto coinvolge 12 partner di cui 5 europei, 3 americani, 3 cileni e 1 australiano, che costituiscono una rete di esperti della formazione dei pianeti e che, grazie alla loro stretta collaborazione e all’utilizzo di nuove strumentazioni, stanno ottenendo dati di grande rilevanza scientifica. In particolare, i due lavori appena pubblicati nascono all’interno di DUSTBUSTERS e sono a prima firma di due giovani ricercatrici, Benedetta Veronesi (dottoranda presso il dipartimento di Fisica della Statale) e Teresa Paneque (dottoranda presso lo European Southern Observatory e visiting student in Statale), che presentano dati molto importanti sulle instabilità gravitazionali in un particolare sistema, attorno alla giovane stella Elias 2-27.

Teresa Paneque, visiting student in Statale, e Benedetta Veronesi, ricercatrice della Statale

Teresa Paneque, visiting student in Statale, e Benedetta Veronesi, ricercatrice della Statale

Il lavoro di Teresa Paneque, nello specifico, presenta le prime prove osservative di un sistema sottoposto a instabilità gravitazionale: attraverso l’analisi delle osservazioni ad altissima risoluzione spaziale e spettrale ottenute grazie ad ALMA, ha potuto studiare la morfologia complicata di Elias 2-27, data da una spirale a due bracci (tipico segno di instabilità gravitazionale), ma anche da un gap nelle zone interne e da una forte asimmetria tra due lati del disco. “Tracciamo la struttura a spirale della polvere utilizzando i nuovi dati e rileviamo le tracce di polvere intrappolata lungo le spirali con una struttura di gas molto perturbata", commenta Teresa Paneque. "Tutti i risultati dell'osservazione vengono poi confrontati con le simulazioni numeriche di un disco instabile. Possiamo concludere quindi che Elias 2-27 è un sistema in cui agisce l’instabilità gravitazionale, il che lo rende una fonte molto interessante per studiare e comprendere il processo di formazione dei pianeti giganti”.

Partendo dai dati ad alta risoluzione del sistema Elias 2-27 ottenuti da Teresa Paneque, Benedetta  Veronesi è riuscita inoltre a calcolare con precisione il piccolo campo gravitazionale prodotto dal disco, dando per la prima volta una misura della sua massa basata sulla sua forza di gravità invece che dedotta da traccianti secondari, soggetti a forti incertezze. Benedetta racconta che “questo sistema presenta due grandi bracci a spirale la cui origine sembra essere collegata al peso del disco stesso. Per ‘pesare’ il disco abbiamo riprodotto la cosiddetta curva di rotazione, e quindi la velocità del sistema, utilizzando un modello composto da disco e stella. In questo modo abbiamo ottenuto una stima della massa per entrambe le componenti (stella e disco), con un rapporto fra le due che indica che le spirali osservate in Elias 2-27 sarebbero in effetti causate dal campo gravitazionale prodotto dalla massa del disco. Quest’ultima risulta essere di circa 100 volte la massa di Giove, e quindi ampiamente sufficiente per produrre pianeti.

Il professor Giuseppe Lodato, coordinatore del progetto DUSTBUSTERS, commenta: “Si tratta di un risultato eccezionale. Misurare la massa dei dischi protostellari è sempre stato uno dei maggiori problemi non risolti in questo campo, perché la componente fondamentale, l’idrogeno molecolare, è praticamente trasparente alle nostre osservazioni. Ottenere una misura basata sulla dinamica, come hanno permesso di fare oggi Benedetta e Teresa, può fornire un fondamentale benchmark per calibrare stime ottenute in modo indiretto. Questo risultato è il frutto della stretta collaborazione tra i diversi gruppi di DUSTBUSTERS, all’interno del quale abbiamo stabilito una vera e propria ‘task force’ dedicata a questo argomento, dimostrando come questi progetti collaborativi davvero possano portare ad un avanzamento della conoscenza”.

 

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 *Immagine 1: Utilizzando i dati sulla velocità del gas, gli scienziati che hanno osservato Elias 2-27 sono stati in grado di misurare direttamente la massa del disco protoplanetario della giovane stella, nonché di tracciare le perturbazioni dinamiche nel sistema stellare. Credits: Teresa Paneque-Carreño/ Bill Saxton, NRAO/AUI/NSF.

**Immagine 2: Elias 2-27 è una giovane stella situata a soli 378 anni luce dalla Terra. La stella ospita un enorme disco protoplanetario di gas e polvere, elementi chiave per la formazione dei pianeti. In questa illustrazione grafica, la polvere è distribuita lungo una morfologia a forma di spirale scoperta per la prima volta in Elias 2-27 nel 2016. I grani di polvere più grandi si trovano lungo i bracci a spirale mentre i grani di polvere più piccoli sono distribuiti intorno al disco protoplanetario. Durante lo studio sono stati rilevati anche afflussi di gas asimmetrici, che indicano che potrebbe esserci ancora materiale che cade all’interno del disco. Gli scienziati ritengono che Elias 2-27 possa evolversi in un sistema planetario, con instabilità gravitazionali che causano la formazione di pianeti giganti, ma poiché questo processo richiede milioni di anni, gli scienziati potranno osservarne solo le fasi iniziali. Credits: Bill Saxton, NRAO/AUI/NSF.

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