Mario Nosotti a un convegno in Cina dove incontrò il chirurgo Jing-Yu Chen
Nel luglio 2019, il professor Mario Nosotti, chirurgo del Policlinico di Milano, docente e direttore della Scuola di Chirurgia toracica dell'Università Statale di Milano, incontrò a un convegno, in Cina, Jing-Yu Chen, chirurgo dell’ospedale di Wuxi in Cina. Un incontro che diede vita a una collaborazione e scambio di informazioni tra i due professionisti. Meno di un anno dopo, i due specialisti si sarebbero trovati entrambi a gestire importanti casi di trapianto polmonare per le conseguenze del COVID-19. Nel caso del professor Nosotti, il trapianto, di pochi giorni fa, è pienamente riuscito e ha salvato la vita di “Francesco” (nome di fantasia), 18 anni, in condizioni gravissime, con entrambi i polmoni ‘bruciati’ dal Coronavirus.
Al nostro docente abbiamo chiesto di ripercorrere questo sorprendente intervento chirurgico di doppio trapianto polmonare, eseguito all’Ospedale Policlinico di Milano dall’équipe composta, oltre che dal professor Nosotti, dal professor Lorenzo Rosso e dai medici Davide Tosi e Alessandro Palleschi. All’intervento ha partecipato anche il cardiochirurgo dell’Ospedale Niguarda, Marco Lanfranconi. A completare il team due specializzande in chirurgia toracica, quattro anestesisti e due specializzandi in Anestesia, presenti a turno, un perfusionista e quattro infermieri. Una squadra che ha lavorato complessivamente 16 ore consecutive (questa la permanenza in sala del paziente) per un intervento durato 12 ore.
Professor Nosotti, innanzitutto come sta il paziente dopo questo importante intervento?
Il ragazzo trapiantato è attualmente ricoverato in terapia intensiva. Dopo due mesi di circolazione extracorporea, sedazione e immobilizzazione a letto, anche un organismo in piena salute come il suo è in completa "crisi motoria" (tecnicamente CIP). Tolta la circolazione extracorporea dopo poche ore dalla fine del trapianto, ha iniziato un intensa attività di fisioterapia motoria ed ora è in grado di stare seduto, muove gli arti superiori e oggi è addirittura stato per qualche minuto in piedi. Il ragazzo necessita ancora di un modesto supporto respiratorio e pertanto ha la tracheostomia, ovviamente non può parlare ma il suo sorriso ripaga tutti noi della fatica fatta.
Torniamo all’inizio dell’epidemia. Dopo lo scoppio dell’emergenza sanitaria come è cambiato il vostro lavoro?
L'esplosione della pandemia ha impattato pesantemente sulla routine quotidiana. Da subito ho pensato che come chirurgo toracico sarei stato coinvolto nella cura dei pazienti affetti da COVID dato che si tratta di una patologia respiratoria con pesanti ripercussioni di pertinenza chirurgica. Improvvisamente il reparto di chirurgia toracica si è svuotato quasi del tutto, l'attività di chirurgia oncologica si è ridotta al lumicino, sono totalmente scomparsi i donatori per il trapianto polmonare, sospese le lezioni e gli esami. L'impressione era di essere sospesi in una bolla, totalmente inconsapevoli del domani, ma io o e i miei colleghi siamo subito stati coinvolti in numerose procedure minori su pazienti COVID, in particolar modo broncoscopie e posizionamento di drenaggi toracici. I ragazzi della Scuola di Specializzazione di Chirurgia toracica della Statale, che dirigo, hanno prestato servizio nei reparti COVID ad alta intensità di cura, altri presso i centri regionali; nessuno si è mai tirato indietro.
Poi è arrivato il momento di intervenire con questo importante trapianto, di cui si è parlato molto in questi giorni sui media italiani e non solo. Ci racconti come ha funzionato la collaborazione con l’Ospedale San Raffaele, dove Francesco era ricoverato, e quanto è stata significativa la conoscenza del professor Jing-Yu Chen dell’ospedale di Wuxi in Cina per le competenze necessarie al buon esito dell'operazione.
I rianimatori del San Raffaele hanno lavorato duramente nella tensostruttura allestita tempestivamente con donazioni da privati. Quello che mi ha colpito è stata l'alta professionalità, ma più ancora la loro caparbietà nel non volersi arrendere all'evidenza che un giovane ragazzo, in piena salute, potesse perdere completamente la funzione respiratoria. Quando il professor Alberto Zangrillo, primario dell'Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare del San Raffaele, mi ha contattato per propormi di trapiantare Francesco credo non sapesse che questa impresa fosse già stata tentata in Cina. In realtà, io e i miei collaboratori eravamo a conoscenza dei 3 trapianti polmonari eseguiti da Jing-Yu Chen poche settimane prima. Avevo incontrato Chen nel luglio 2019 durante un convegno in Cina ed era iniziata una collaborazione e scambio di informazioni. Io e i miei collaboratori sapevamo che il primo paziente trapiantato in Cina era deceduto in sala operatoria ed eravamo consapevoli delle difficoltà che avremmo incontrato durante l'intervento. Tutti e tre i pazienti trapiantati da Chen erano piuttosto anziani, mentre il nostro candidato era un giovane potenzialmente in ottima forma: questo ci ha dato coraggio. Con il chirurgo cinese abbiamo condiviso le procedure di salvaguardia del personale sanitario e ci siamo attrezzati di conseguenza. Ovviamente non conosco approfonditamente il collega cinese ma l'impressione "a pelle" fu di una persona mite ma determinata, sincera e umile e conquistò subito la mia fiducia.
Quali speranze possiamo nutrire per un pieno recupero di Francesco dopo questo complesso intervento chirurgico?
L'aspettativa di vita di un giovane paziente trapiantato è limitata da numerosi fattori: i possibili rigetti acuti, il rigetto cronico, le infezioni e le neoplasie. Abbiamo pazienti vivi anche dopo 20 anni dal trapianto. Io auguro a Francesco di superare questo traguardo. Devo però aggiungere che il suo sorriso mi ha fatto riflettere sul valore incommensurabile di ogni singolo istante di vita. Francesco aveva "tecnicamente finito di vivere", ora scambia messaggi con il fratello più piccolo, a me basta questo.
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Mario Nosotti
Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti
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