Pubblicato il: 10/08/2022
Immagine tratta da Pixabay

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La chiusura delle scuole dal 5 marzo al 5 aprile 2021, per fermare la diffusione della cosiddetta ‘variante inglese’ del COVID-19, ha effettivamente centrato l’obiettivo di  interrompere la catena di contagio all’interno delle famiglie. Emerge da uno studio pubblicato su PLOS ONE, uno studio, condotto dall’ATS di Milano (Unità di Epidemiologia e di Promozione della Salute) in collaborazione con l’Università Statale di Milano (dipartimento di Scienze Sociali e Politiche) e l’Università degli Studi di Milano-Bicocca (dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale), che ha indagato retrospettivamente l’andamento dei contagi COVID-19 nelle Province di Milano e Lodi durante la terza fase dell’epidemia, in corrispondenza dell’emersione della variante “Inglese” (Alpha, B.1.1.7), la prima a diffondersi in maniera importante nella popolazione giovanile.

A seguito dell’individuazione nel mese di febbraio 2021 di quattro focolai della nuova variante in Lombardia nei comuni di Bollate (Milano), Castrezzato (Brescia), Mede (Pavia) e Viggù (Varese), le istituzioni disposero prima misure di lockdown e la chiusura completa delle scuole nei comuni interessati (17 febbraio) e successivamente la chiusura delle scuole in tutta la regione dal 5 marzo al 5 aprile. La misura generò ampio dibattito nella comunità scientifica e nell’opinione pubblica in merito alla necessità di impedire la circolazione del virus in una popolazione generalmente poco incline a contagiarsi e soggetta eventualmente a una sintomatologia lieve, tenendo in considerazione le difficoltà di conciliare la didattica a distanza con gli impegni lavorativi delle famiglie, i ritardi di apprendimento accumulatisi in seguito alle chiusure precedenti e l’impatto di tali misure di isolamento sul benessere fisico e mentale dei ragazzi in età scolastica.

In questo contesto, i ricercatori coinvolti nello studio – per la Statale ha condotto la ricerca Simone Sarti, docente di Sociologia - hanno individuato nell’arco temporale intercorso dal 1 febbraio al 5 aprile 2021 la generazione spontanea di una situazione di tipo quasi-sperimentale, nella quale è stato possibile verificare in maniera controfattuale l’efficacia (e la conseguente necessità) dell’intervento di chiusura scuole imposta a livello regionale, al netto dei costi sociali ad essa collegati. Le valutazioni delle misure di contenimento adottate per impedire la diffusione del virus sono infatti tipicamente inficiate dalla concomitanza di interventi di diverso tipo (obbligo di mascherine, distanziamento sociale, restrizioni alla mobilità, coprifuoco, chiusura di negozi, bar e ristoranti, ecc.), tale per cui risulta complicato “isolare” gli effetti di una determinata misura per valutarne lo specifico contributo nel rallentamento della curva epidemica. Tuttavia, il provvedimento di chiusura scuole in oggetto è stato varato nel contesto di una condizione di fondo pressoché stabile, in assenza di importanti variazioni nelle restanti restrizioni, consentendo un’inedita valutazione epidemiologica dell’intervento.

Attraverso l’applicazione di specifiche tecniche statistiche, lo studio rileva come prima dell’intervento il virus fosse in rapida diffusione soprattutto nella fascia d’età 3-11 anni, l’unica ad essere ancora completamente in presenza, meno intensamente della fascia 12-19, già soggetta a forme ibride di insegnamento a distanza e in presenza, e ancor meno nella popolazione adulta (20+). Successivamente, la chiusura delle scuole ha prodotto una decrescita delle curve epidemiche in tutte e tre le classi d’età analizzate, interessando dapprima i più giovani e solo successivamente la restante popolazione. Tale successione temporale nell’abbattimento dei contagi avvalora l’importanza di arrestare la circolazione del virus nelle scuole per interrompere la catena di contagio all’interno delle famiglie.

"La valutazione effettuata - sottolineano i ricercatori - è esclusivamente di tipo epidemiologico e non dispone della volontà e dei mezzi per affrontare il tema delle conseguenze sociali connesse all’intervento promosso, di cui è stata riscontrata l’efficacia in ambito di sanità pubblica. Oltretutto, la misura si è resa necessaria in virtù della scarsa copertura vaccinale generale nel momento della diffusione della nuova variante, situazione ben diversa da quella attuale, nella quale l’accesso al ciclo vaccinale è disponibile anche ai più giovani, nel contesto di una variante decisamente più contagiosa ma meno severa. In presenza di una nuova ondata, non è chiaro dunque se un intervento di questo tipo possa risultare efficace quanto lo è stato in passato".

 

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