Pubblicato il: 05/07/2021
Il sito archeologico dell’Età del Bronzo di San Michele di Valestra, a Carpineti (RE) - Credit Foto: Ministero della Cultura

Il sito archeologico dell’Età del Bronzo di San Michele di Valestra, a Carpineti (RE) - Credit Foto: Ministero della Cultura

I geoarcheologi dell'Università Statale hanno ripreso, su concessione del Ministero della Cultura, lo scavo del sito archeologico dell’Età del Bronzo di San Michele di Valestra, a Carpineti (RE). Con il terzo anno di scavo si punta a raggiungere gli strati più profondi della stratigrafia, quelli relativi alle prime fasi di vita del sito, databili a circa 3.500 anni fa.

Per questa fase della protostoria si conoscono molte informazioni che provengono dalla Pianura Padana, frutto di lunghi anni di scavo in siti come quello della Terramara Santa Rosa di Poviglio, sempre condotto dalla Statale. Dalle ricerche è emerso che tutta la Pianura Padana durante la media e recente Età del Bronzo era sistematicamente abitata e le risorse naturali (suolo coltivabile, foreste e acqua) erano ampiamente sfruttate dalla cosiddetta cultura delle Terramare. Poco si sa, invece, sugli insediamenti coevi dell’Appennino settentrionale.

Il sito di San Michele di Valestra è un contesto fondamentale per capire lo stile di vita e le strategie di sussistenza delle piccole comunità di montagna che sfruttavamo le risorse dell’ambiente di alta quota. Il sito, che si trova su un piccolo terrazzo pianeggiante appoggiato alla falesia di roccia di Monte Valestra, è costituito da una sequenza che include resti di strutture di abitato arricchite da tracce di buche per la palificazione, muretti a secco in pietra e piccole aree dedicate all’accensione di fuoco per uso domestico.

I dati dallo scavo raccontano di un uso delle risorse naturali diverso rispetto a quello fatto dalle popolazioni contemporanee della pianura. Se in area padana l’agricoltura era la principale risorsa di sussistenza, in montagna la pastorizia, soprattutto di capriovini, era fondamentale per garantire la sopravvivenza delle comunità. Oltre alla pastorizia, i resti di animali e gli oggetti rinvenuti testimoniamo anche attività di caccia e pesca. Sono stati trovati resti di animali selvatici usati per produrre utensili, come i palchi di cervo, oppure ossa di cinghiali e caprioli con tracce di macellazione, e perfino ossa di orso, che mostrano evidenti tracce di macellazione, probabilmente per ricavarne la preziosa pelliccia. Gli scavi hanno restituito anche alcuni strumenti legati allo sfruttamento degli animali selvatici, come un amo da pesca in bronzo e, proprio in questi giorni, punte di freccia in selce e lame di pugnale in bronzo.

L’indagine geoarcheologica a San Michele di Valestra sta permettendo anche di interpretare la dinamica del popolamento umano del Nord Italia durante le fasi finali del periodo delle Terramare. I dati raccolti dai geoarcheologici della Statale raccontano che la cultura Terramaricola è scomparsa attorno a 3.200 anni fa per uno sfruttamento eccessivo delle risorse naturali in un momento in cui il clima stava diventando arido.
In pochi decenni, le centinaia di villaggi terramaricoli della Pianura Padana vengono abbandonati e le popolazioni si trasferiscono altrove. Il sito di San Michele di Valestra, invece, ci mostra come l’insediamento sia stabile e sopravviva fino alla fine dell’Età del Bronzo e nella successiva Età del Ferro. Questo fatto, dimostra come le piccole comunità di montagna, adattate a sopravvivere in un ambiente meno generoso della pianura, abbiano avuto una maggiore resilienza ed adattabilità alla crisi climatica. La loro strategia di sussistenza ha permesso loro di usare in modo responsabile le risorse naturali in un momento di cambiamento climatico, offrendo un utile spunto di riflessione per il nostro futuro.

 

 

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