Microscopio - Immagine tratta da Pixabay
Uno studio condotto da Università degli Studi di Torino, IFOM - Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare, Ospedale Niguarda e Università degli Studi di Milano, ha individuato una strategia terapeutica che consente di trattare con l’immunoterapia i tumori metastatici del colon-retto, con la prospettiva di estendere le aspettative di vita dei pazienti e bloccare la progressione tumorale.
Secondo le statistiche internazionali GLOBOSCAN 2020, stilate dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), il 10% delle nuove diagnosi di tumore sono riferite al colon-retto, e nel 2020, in Europa, sono stati identificati oltre 500.000 nuovi casi di questa patologia. Il tumore al colon-retto costituisce la causa del 9% di morti oncologiche, mentre il tasso di sopravvivenza a 5 anni si attesta a circa il 15% dei pazienti che vanno incontro a metastasi.
Per molte persone con diagnosi di tumore con metastasi, l’immunoterapia rappresenta attualmente la strategia terapeutica più efficace per prolungare le aspettative di vita. Tuttavia nel caso di tumori metastatici del colon-retto solo pochi pazienti possono oggi avvantaggiarsene, poiché oltre il 90% di questi tumori sono resistenti all’immunoterapia.
Un discrimine sensibile per riuscire a estendere le aspettative di vita, che in genere in questi pazienti sono di pochi mesi, è dettato dalla possibilità per loro di accedere a opzioni terapeutiche come l’immunoterapia.
Grazie a un metodo che ha combinato biopsia liquida e biopsia tissutale, per lo "studio Arethusa", realizzato grazie al sostegno di Fondazione Airc, sono stati selezionati 80 pazienti che soddisfacevano i requisiti di uno screening molecolare effettuato su 500 tumori. Quindi i ricercatori hanno avviato una prima sperimentazione terapeutica su 47 pazienti reclutati: i primi incoraggianti risultati traslazionali, basati su 21 di questi, sono stati pubblicati ora sull’autorevole rivista scientifica Cancer Discovery.
“I farmaci immunoterapici – spiega il coordinatore dello studio, Alberto Bardelli, direttore Scientifico di IFOM e docente all’Università degli Studi di Torino – amplificano infatti la risposta immunitaria scatenata dalle cellule T che infiltrano i tumori, e che sono così stimolati a riconoscere e sopprimere le cellule tumorali. Tuttavia non tutti i tumori sono uguali: alcuni, noti come tumori immunologicalmente “caldi”, mostrano segni di infiammazione e quindi un elevato numero di cellule T infiltranti, ragione per cui risultano più sensibili ai farmaci immunoterapici, mentre altri tumori, detti “freddi”, sono quasi totalmente impermeabili alle cellule T, risultando insensibili all’immunoterapia”.
A livello biologico la distinzione tra tumore freddo e tumore caldo dipende dal fatto che la cellula tumorale presenti o meno difficoltà a riparare il DNA. “In una cellula tumorale così come nelle cellule sane – spiega il primo autore dello studio, Giovanni Crisafulli dell’Università degli Studi di Torino – avvengono continuamente lesioni al DNA. Se una cellula tumorale non è in grado di riparare il proprio DNA accumula tali mutazioni, segnalandosi involontariamente all’immunoterapia come bersaglio terapeutico. Se invece la cellula tumorale riesce a riparare gli errori del DNA, presenta poche mutazioni e diventa pertanto difficilmente intercettabile dal sistema immunitario, riuscendo a eludere l'immunoterapia e garantendosi così la sopravvivenza a discapito dei pazienti. Purtroppo la maggioranza dei tumori al colon-retto, si stima al 95 %, è caratterizzata da questo tipo di cellule. Pertanto il cancro al colon-retto più comune è anche quello per cui i pazienti possono trarre beneficio da minori opzioni terapeutiche”.
“Lo studio – spiega la promotrice dello studio, Silvia Marsoni, a capo dell’Unità di Oncologia di Precisione di IFOM – è estremamente complesso e richiede una prima fase di screening molecolare perché solo pazienti con certe caratteristiche molecolari del tumore possono essere trattati con il farmaco temozolomide, al centro della terapia. Una fase di screening molecolare molto intensa, che ha coinvolto anche il laboratorio della Prof Federica Di Nicolantonio presso l’IRCC di Candiolo, ha analizzato oltre 500 tumori– prosegue Marsoni – da cui sono stati selezionati gli 80 pazienti con i requisiti per poter essere arruolati nella fase sperimentale. Di questi, 47 hanno iniziato il trattamento e 21 sono quelli sui quali si è concentrato lo studio”.
Lo studio nasce “da risultati di laboratorio ottenuti nel 2017 – spiega il professor Alberto Bardelli – in cui abbiamo individuato il temozolomide, farmaco già in uso clinico per la cura di tumori celebrali molto aggressivi come i glioblastomi, come via terapeutica per incrementare il numero di mutazioni nei tumori al colon-retto immunologicamente freddi, in modo da renderli caldi e quindi potenzialmente sensibili a terapie immunologiche che stimolano la risposta immunitaria.” “Ora grazie ad Arethusa – prosegue il Responsabile Clinico del progetto, il professor Salvatore Siena dell'Ospedale Niguarda di Milano e docente dell’Università Statale di Milano – queste ricerche sono state applicate a livello clinico su 47 pazienti affetti da tumore al colon-retto metastatico in cui le normali terapie antitumorali hanno già fallito e per i quali non vi sono altre opzioni terapeutiche.”
Conclusa questa prima fase se ne apre una seconda: “Lo studio prevede un ulteriore arruolamento, quindi riuscirà a darci ulteriori risposte. In questa prima parte abbiamo analizzato il tumore e il suo incremento di mutazioni, il prossimo passo – anticipano Bardelli e Siena – ci permetterà di focalizzarci sullo studio dell’interazione tra sistema immunitario e tumore e su come e perché il nostro corpo riesca a rispondere selettivamente soltanto contro determinati tipi di tumori e non altri. Capire questi concetti ci potrà aiutare significativamente potenziare la capacità del sistema immunitario di riconoscere più efficacemente i tumori”.
Il link allo studio su Cancer Discovery.
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Salvatore Siena
Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia
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