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Immagine tratta da Pixaby
Il gruppo di ricerca guidato da Elena Chiricozzi e Sandro Sonnino del dipartimento di Biotecnologie mediche e Medicina traslazionale dell’Università degli Studi di Milano, ha recentemente pubblicato sulla rivista Scientific Reports, del gruppo editoriale Springer Nature, uno studio su una nuova tecnologia per la cura e il miglioramento della forma sporadica della Malattia di Parkinson.
I ricercatori hanno individuato una nuova molecola la cui somministrazione sistemica porta ad una riduzione dei sintomi motori tipici della malattia di Parkinson e a un recupero biochimico e funzionale dei neuroni dopaminergici (dati ottenuti in vivo). La struttura chimica di questa molecola, un oligosaccaride, non presenta fattori critici sul profilo di tossicità ed è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica rimanendo metabolicamente invariata. La molecola oggetto della ricerca agisce a livello della superficie cellulare attivando una serie di segnali intracellulari neurotrofici, neuro-protettivi e neuro-ristorativi che permettono di contrastare le cause del morbo di Parkinson: stress ossidativo, neuro-infiammazione, eccito-tossicità, disfunzione mitocondriale e accumulo di alpha-sinucleina.
A differenza delle forme familiari dove l’alterazione di uno o più specifici geni causano l’insorgenza della malattia, per la forma sporadica di Parkinson non sono ancora disponibili teorie in grado di spiegare la sua complessa eziologia. Infatti, nonostante le molteplici ipotesi avanzate, nessuna è in grado di risolvere con successo tutti i dati riguardanti le manifestazioni centrali e periferiche del Parkinson sporadico.
Recenti evidenze sperimentali hanno individuato nei gangliosidi dei potenziali iniziatori della malattia di Parkinson. I gangliosidi rappresentano una classe di lipidi che compongono la membrana cellulare e sono particolarmente abbondanti nel sistema nervoso. A livello del sistema nervoso centrale, i gangliosidi sono in grado di promuovere i processi rigenerativi e prevenire la neurodegenerazione. In passato sono stati considerati come potenziali agenti terapeutici, ma la quantità che effettivamente raggiunge il sistema nervoso centrale è estremamente limitata a causa della loro scarsa penetrabilità della barriera ematoencefalica. Solo di recente sono stati contemplati anche come iniziatori della patogenesi parkinsoniana. Questo riguarda soprattutto i livelli di ganglioside GM1, il quale va incontro a un progressiva riduzione dovuta all’invecchiamento e/o a fattori epigenetici che gradualmente compromette molteplici funzioni neuronali. In particolare, si ipotizza che la riduzione di GM1 a livello della membrana neuronale in pazienti parkinsoniani possa dare inizio al processo neurodegenerativo.
Dal 2017 i ricercatori dell’Università Statale di Milano stanno studiando i meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza della malattia di Parkinson dovuta alla riduzione del GM1. I loro studi in vitro hanno suggerito che la catena oligosaccaridica del GM1, OligoGM1, potesse giocare un ruolo chiave. Grazie al supporto del gruppo guidato dalla Dott.ssa Laura Mauri per la sintesi dell’OligoGM1 e a fondamentali collaborazioni nazionali ed internazionali, sono infatti riusciti a dimostrare che, dell'intera molecola, il solo OligoGM1 costituisce l'effettiva componente bioattiva per gli effetti neuro-modulatori del GM1. In vivo, in un modello animale che ricapitola tutte le caratteristiche del Parkinson sporadico, l’OligoGM1 ha indotto un recupero delle funzioni motorie e non.
In questo scenario l’oligosaccaride del GM1 mantiene tutti i benefici della molecola intera dal quale deriva, ma perde le caratteristiche idrofobiche che ne limitano il passaggio attraverso la barriera ematoencefalica e quindi il raggiungimento del sistema nervoso centrale. Sebbene l’importanza delle catene oligosaccaridiche dei gangliosidi sia stata riconosciuta, è la prima volta che l’oligosaccaride del GM1 viene proposto come molecola bioattiva in grado di influenzare e modulare lo stato cellulare fisiologico e quindi di schermare quello patologico.
“Crediamo fortemente che la nostra visione possa fare chiarezza sulla comprensione della patogenesi del Parkinson, individuando il fattore scatenante e responsabile della sua progressione, e soprattutto, un nuovo approccio terapeutico per contrastare profondamente il decorso di questa malattia”, commenta Elena Chiricozzi.
Attualmente, non è disponibile una cura per la malattia di Parkinson. Il trattamento farmacologico, la chirurgia e la gestione multidisciplinare sono in grado di fornire solo sollievo ai sintomi. Circa 6 milioni di persone vivono oggi con la malattia di Parkinson e l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che le persone che soffriranno di Parkinson saranno oltre i 14 milioni nel mondo entro il 2040.
“L’aver individuato in vitro ed in vivo una potenziale molecola in grado di agire in maniera positiva su cellule di neuroblastoma, sul differenziamento e protezione di neuroni primari e su un modello murino di Parkinson sporadico, è sicuramente di fondamentale importanza sia da un punto di vista sociale che economico. Inoltre, la somministrazione sistemica di OligoGM1 può rappresentare una nuova promessa terapeutica anche per altre patologie neurodegenerative come l’Alzheimer anch’esse caratterizzate da un ridotto contenuto di ganglioside GM1 in specifiche aree cerebrali”, conclude Sandro Sonnino.
Contatti
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Elena Chiricozzi
Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale -
Sandro Sonnino
DIPARTIMENTO DI BIOTECNOLOGIE MEDICHE E MEDICINA TRASLAZIONALE0250330360
393480085043
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