Pubblicato il: 30/11/2023
Indagini geoarcheologiche sui deposti del sito della Madonna dell’Arma (Sanremo) - credit foto MiC.

Indagini geoarcheologiche sui deposti del sito della Madonna dell’Arma (Sanremo) - credit foto MiC.

Attualmente non è possibile, come veniva fatto in passato, studiare un manufatto o un resto umano senza prendere in considerazione il contesto di provenienza. Come spiegato in un articolo apparso sulla rivista Nature Ecology & Evolution di Mike Morley della Flinders University (Australia) con la partecipazione di Andrea Zerboni, geoarcheologo della Statale, è il contributo del geoarcheologo a permettere di comprendere come fossero le condizioni climatiche in cui vissero i nostri antenati. Così come è lo studio dei sedimenti archeologici a dimostrare quando e come essi introdussero importanti innovazioni culturali come ad esempio l’uso del fuoco. Se da una parte sono archeologi e antropologi a spiegare quali fossero l’aspetto, le caratteristiche fisiche, le abitudini e le conoscenze dei nostri antenati, sempre più spesso sono le avanzate tecniche messe a punto nell’ambito delle Scienze della Terra a contestualizzare i ritrovamenti di fossili e strumenti in pietra.

La raccolta di dati geoarcheologici può essere paragonata alle indagini condotte sulla scena del crimine. È compito del geoarcheologo, lavorando con un kit di strumenti presi in prestito dalle geoscienze, stabilire se i dati sono stati recuperati da un contesto sicuro e identificabile. Senza tale contesto non possiamo essere sicuri di dove siano stati trovati i fossili, quanti anni abbiano, come siano stati conservati fino ai giorni nostri e come si relazionino ad altri fossili o a materiale archeologicamente significativo. 

Nel campo dell’evoluzione umana - spiega Andrea Zerboni, geoarcheologo del dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” dell’Università degli Studi di Milano - si sta assistendo a progressi enormi con l’introduzione di metodologie di indagine sempre più raffinate per comprendere l’origine della nostra specie. Gli studi sul DNA antico stanno setacciando le sequenze archeologiche più antiche esistenti isolando il corredo genetico delle popolazioni che vissero in quelle località, ma è il meticoloso studio geoarcheologico dei contesti stratigrafici che permette di stabilire se il dato raccolto sia affidabile o meno studiando i meccanismi di formazione del sito archeologico”. 

Molti dei più significativi ritrovamenti recenti, che hanno trasformato il campo dell’evoluzione umana, sono piccoli e scarsi. Hanno dimensioni variabili, dai denti ai filamenti di DNA, recuperati da ambienti sedimentari complessi; tuttavia, se adeguatamente analizzati, racchiudono un immenso potenziale per riscrivere ciò che sappiamo sull’evoluzione della nostra specie e dei nostri antenati più vicini. 

Nell’ambito del progetto FSIR 2019 – SPHeritage da poco terminato - conclude Zerboni - l’applicazione delle metodologie delle Scienze della Terra ai contesti archeologici dell’area dei Balzi Rossi, noti da decine di anni, ha permesso di ottenere informazioni precedentemente inaspettate sull’età dei contesti e sulle strategie insediative delle popolazioni che vivevano in quell’area nel paleolitico”.

Lo studio dell’evoluzione umana si basa sull’indagine antropologica, sui resti ossei fossilizzati di ominidi e individui appartenenti al genere HomoI fossili umani sono estremamente scarsi, spesso legati a condizioni fortuite di conservazione e ritrovamento. Sono le metodologie applicate dai geoarcheologi che permettono di dare un’età ai ritrovamenti di fossili umani, così come sono le tecniche di studio dei contesti archeologici (i siti e i paesaggi archeologici) mediate dalla geologia a comprendere i processi che hanno permesso la deposizione di resti ossei e manufatti e la loro conservazione fino ad oggi. 

Link allo studio pubblicato su Nature Ecology & Evolution.

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