Pubblicato il: 26/01/2022
Marilisa D’Amico, prorettrice alla Legalità, trasparenza e parità di diritti dell’Università Statale

Marilisa D’Amico, prorettrice alla Legalità, trasparenza e parità di diritti dell’Università Statale

L’Università Statale di Milano ha adottato il Gender Equality Plan (GEP), documento strategico e operativo finalizzato a implementare l’uguaglianza di genere in Ateneo nel triennio 2022-2024.

Insieme a Marilisa D’Amico, prorettrice alla Legalità, trasparenza e parità di diritti dell’Università Statale di Milano, scopriamo contenuti e obiettivi di un strumento di cambiamento istituzionale e culturale a favore di una parità tra donne e uomini non solo formale ma anche sostanziale.
 

Professoressa D’Amico, ci spieghi cos’è il Gender Equality Plan?

Il Gender Equality Plan, abbreviato in GEP, è il documento strategico e operativo a favore dei processi di uguaglianza di genere nelle organizzazioni richiesto dal programma Horizon Europe per poter accedere ai finanziamenti alla ricerca e si pone in piena continuità con altri documenti già adottati dall’Ateneo come il Bilancio di genere e il Piano delle Azioni positive.

Un nuovo documento di principi e regole, quindi?

Assolutamente no, anzi. Alla stesura del GEP dell’Università Statale 2022 hanno lavorato colleghe e colleghi che, in sinergia con la governance d’Ateneo, il Comitato Unico di Garanzia e le strutture amministrative, hanno non solo recepito e fatte proprie le Linee guida della Commissione Europea, le indicazioni dell’European Institute for Gender Equality (EIGE) e il “Vademecum per l’elaborazione del GEP 2021” della Commissione CRUI sulle Tematiche di genere, ma anche lavorato fianco a fianco, sperimentato in prima persona cosa significhi nel concreto immaginare e implementare un’organizzazione improntata alla valorizzazione della parità tra i generi.

Il GEP rientra in quello che gli addetti ai lavori definiscono il gender mainstreaming. Di cosa si tratta?

Per gender mainstreaming s’intende l’integrazione della dimensione di genere per valutare come le azioni politiche pianificate, incluse le leggi e i programmi, influiscono in modo diverso per le persone di generi diversi. Non solo. Questo approccio prevede che le azioni programmate vengano attuate, monitorate e valutate. L’obiettivo principale è quindi realizzare delle politiche che contrastino le disuguaglianze di genere andando a modificare i meccanismi che ne sono alla base.

Facciamo un esempio a noi vicino: la formazione e l’istruzione delle donne. Per abbattere lo stereotipo che vuole le ragazze più portate per le materie sociali e umanistiche e i ragazzi per quelle tecniche e scientifiche, una buona strategia di gender mainstreaming fa in modo che tutte e tutti, a prescindere dal sesso, possano scegliere cosa studiare, senza farsi influenzare dagli stereotipi di genere, e prevenendo così anche quella segregazione nel mercato del lavoro e nelle carriere che registriamo ancora oggi.

Come può allora il GEP favorire un processo di gender mainstreaming efficace?

Basta sfogliare e leggere il nostro Gender Equality Plan. Si articola in sei macroaree di intervento - equilibrio vita-lavoro e la cultura organizzativa, equilibrio di genere nelle posizioni di vertice e negli organi decisionali, eguaglianza di genere nel reclutamento e nelle progressioni di carriera, integrazione della dimensione di genere nella ricerca e nella didattica, misure di contrasto della violenza di genere, comprese le molestie sessuali, maggiore coordinamento delle attività e delle competenze gender related – declinate in schede sintetiche che esplicitano chiaramente le azioni, il target diretto e indiretto, i responsabili istituzionali e operativi, le risorse umane e finanziarie dedicate, l’output, l’outcome, le scadenze temporali, gli indicatori di valutazione e l’obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 collegato. Il tutto costantemente monitorato perché non resti lettera morta.


Una delle prime azioni strategico-operative individuate dal GEP è la promozione di un linguaggio amministrativo antidiscriminatorio, su cui l’Ateneo ha recentemente adottato un Vademecum sul linguaggio di genere. Un altro esempio in cui una regola formale può cambiare nella sostanza una condizione di disuguaglianza?

Il linguaggio determina una cultura ed è lo specchio di una società: un linguaggio intollerante è segno e a sua volta determina una società intollerante. All’opposto un linguaggio inclusivo, creerà un ambiante inclusivo. Ed è evidente che continuando a utilizzare un linguaggio solo al maschile si persevera nel trasmettere l'idea di un mondo fatto solo di uomini, dove le conquiste femminili vengono annullate. Con il nostro Vademecum sul linguaggio di genere non abbiamo voluto imporre degli obblighi, ma segnare un cambio di passo e, attraverso semplici raccomandazioni d'uso e corsi di formazione per l'intera comunità universitaria, puntiamo a costruire una cultura della parità a partire dalle nostre relazioni e comunicazioni quotidiane nel lavoro, nello studio e nella vita privata.