Pubblicato il: 16/01/2024
Immagine tratta da Pixabay

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Il virus SARS-CoV-2 ha causato la pandemia da COVID-19, ad oggi responsabile di oltre 770 milioni di infezioni e 7 milioni di morti nel mondo. All’inizio della pandemia, in molte nazioni si era osservata la quasi completa scomparsa di un’altra malattia stagionale caratterizzata da alta mortalità, l’influenza. La vaccinazione antinfluenzale, così come le misure preventive adottate nei confronti del COVID-19, quali il distanziamento sociale, l’uso di mascherine nei luoghi affollati e il lavaggio frequente delle mani, erano infatti risultate particolarmente efficaci anche contro l’influenza. Peraltro, nello stesso periodo erano stati pubblicati vari lavori, in gran parte italiani, in cui si osservava che la vaccinazione antinfluenzale si accompagnava ad una minor frequenza di infezioni da SARS-CoV-2, quando non erano ancora disponibili i vaccini e le terapie anti COVID-19. 

Un gruppo internazionale composto da medici e ricercatori dell’Università Statale di Milano, dell’IRCCS MultiMedica, dell’Universidad Catolica de Santiago de Guayaquil in Ecuador (prof. Jimmy Martin-Delgado) e della Harvard Medical School di Boston negli USA, ha raccolto tutte le pubblicazioni che riportavano dati epidemiologici di associazione tra vaccinazione antinfluenzale e frequenza e decorso clinico di COVID-19. Nella pubblicazione sul Journal of Medical Virology i ricercatori hanno esaminato 80 pubblicazioni che analizzavano un totale di 61 milioni di persone

Dall’analisi di questi studi è stato possibile stimare che la vaccinazione antinfluenzale riduce la frequenza di infezione da SARS-CoV-2, anche se non altera il decorso clinico del COVID-19 (ospedalizzazioni e morte), riducendo tuttavia la necessità di ricovero in Unità di Terapia Intensiva

Il direttore della ricerca Antonio Pontiroli, già docente dell’Università Statale di Milano, ha precisato che: “La riduzione della frequenza di infezione è in genere del 30%, ma se la distanza temporale fra l’incontro con SARS-CoV-2 e l’uso di specifici vaccini antinfluenzali è breve, si arriva ad una riduzione della frequenza di infezione che è addirittura del 50%”. Lucia La Sala, ricercatrice della Statale di Milano e responsabile del Laboratorio di Malattie Dismetaboliche dell’IRCCS di MultiMedica, ha evidenziato: “Abbiamo notato che i diversi vaccini antinfluenzali hanno diversa efficacia nel ridurre la frequenza di infezioni, alla luce di questo, stiamo valutando di far partire un ulteriore studio che ci aiuterà a chiarire le ragioni di tali differenze”.   

Ivan Zanoni, della Harvard Medical School, ha commentato: “Sebbene i risultati della nostra analisi siano chiari e sostenuti da dati ottenuti da oltre 60 milioni di soggetti, le ragioni dell’effetto protettivo della vaccinazione antinfluenzale non sono ancora chiare e possono essere diverse. Una ipotesi che vogliamo testare in futuro è che il vaccino antinfluenzale favorisca la liberazione degli interferoni, potenti armi del sistema immunitario capaci di “interferire” con l’ingresso e la replicazione di molti virus, compreso il SARS-CoV-2”. “Non si può peraltro escludere - aggiunge Elisabetta Tanzi dell’Università Statale di Milano, - che le persone che si sono vaccinate siano quelle più sensibili e rispettose nei confronti delle misure di prevenzione delle malattie infettive e che, per questo motivo, siano in definitiva una categoria a ridotto rischio di esposizione”.

In conclusione, il fatto che la vaccinazione antinfluenzale possa interferire con il COVID-19 è importante non solo per sé, ma anche in previsione di possibili future pandemie. 

 

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