Pubblicato il: 12/07/2018
Farfalla

Una farfalla - Foto tratta da Pixabay

I Paesi firmatari della Convenzione sulla Biodiversità e del recente Protocollo di Nagoja del 2014 devono sì tutelare le risorse locali di interesse commerciale, ma senza dimenticare di promuovere la ricerca scientifica in ambito tassonomico, favorendo la raccolta di materiale, lo studio e lo scambio di scienziati senza eccessivi vincoli burocratici.

È la posizione, piuttosto preoccupata, di 177 ricercatori, tra i quali Bruno Rossaro, docente di Ecologia all'Università Statale, provenienti da 35 paesi al mondo, pubblicata il 29 giugno sulla rivista Science.

La Convenzione sulla Biodiversità (CBD) impegna i 196 paesi che vi aderiscono a conservare la biodiversità, a usarne le componenti in modo sostenibile e a condividere in modo equo i benefici che derivano dall'uso delle risorse genetiche, tutti obiettivi apprezzabili che hanno però portato involontariamente a legislazioni che ostacolano la ricerca tassonomica.

La CBD, infatti, tende a privilegiare i diritti dei singoli Paesi dimenticando che la biodiversità è invece patrimonio universale dell'umanità, con il rischio di favorire, specie nei Paesi in via di sviluppo, gruppi di pressione mossi più da interessi commerciali che scientifici a scapito della ricerca tassonomica sulla biodiversità.

Tra l'altro i benefici commerciali che deriverebbero a Paesi in via di sviluppo per l'uso a fini terapeutici di specie autoctone sono stati sovrastimati, visto che la maggior parte delle specie presenti in natura utilizzate per scopi farmaceutici, come funghi e batteri, sono ubiquitarie e non patrimonio esclusivo di singoli Paesi, oltre al fatto che le moderne tecniche di biologia molecolare hanno ridimensionato l'importanza degli organismi naturali nella produzione di farmaci.

Ape sul fiore

Ape sul fiore - Foto tratta da Pixabay

Solo pochi Paesi in via di sviluppo, come il Costa Rica e il Sud Africa, hanno sviluppato invece una legislazione favorevole alla ricerca tassonomica, mentre nella maggior parte dei casi la politica della conservazione si limita sostanzialmente al protezionismo e a una generica proibizione della deforestazione e della distruzione della flora e della fauna.

D'altra parte nessun Paese può essere autosufficiente nella ricerca tassonomica, ma deve invece investire nello scambio e nella mobilità di esperti. Su questo, significativa è stata la richiesta di 1200 ricercatori brasiliani al proprio Governo per una nuova legislazione sulla biodiversità che distingua chiaramente gli studi tassonomici dalla ricerca a scopo commerciale.

La posizione pubblicata su Science suggerisce, pertanto, che la Conferenza delle Parti (CoP), organo di governo della Convenzione sulla Biodiversità, coinvolga attivamente alcuni scienziati per implementare una normativa che incentivi lo studio della biodiversità e faciliti in ogni modo lo scambio di ricercatori e di materiale.

La ricerca tassonomica ha ancora tanto lavoro da fare. Si stima che esistano almeno 12 milioni di specie di eucarioti, ma meno di 2 milioni siano stati descritti e catalogati, mentre circa il 20% delle specie esistenti è a rischio di estinzione, soprattutto per opera dell'uomo.

L'esteso uso delle informazioni sulla sequenza digitale "digital sequence information" (DSI) non può essere sostitutivo della raccolta e dell'esame diretto degli esemplari e, in ogni caso, va nella direzione della più ampia collaborazione tra ricercatori di ogni parte del mondo.

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