Pubblicato il: 13/06/2018
Il gruppo di studenti del laboratorio al Carcere di Opera

Il gruppo di studenti con il professor Stefano Simonetta

Il 23 maggio, presso la Casa di Reclusione di Milano Opera, si è concluso il laboratorio di scrittura e narrazione teatrale L'attesa e la speranza. Storie di confini, promosso dal dipartimento di Filosofia 'Piero Martinetti' dell’Università Statale di Milano, che ha coinvolto 20 studenti e 17 detenuti in regime di alta sicurezza, condannati all'ergastolo per reati di mafia (41 bis).

Da ottobre 2017 a maggio 2018, per 21 incontri settimanali di due ore ciascuna, studenti e detenuti hanno abitato il palcoscenico del teatro del carcere di Opera, moderni personaggi in cerca di una storia e di un senso sui grandi dilemmi dell'uomo e sulla vita ai confini: della società, della legalità, della giustizia, dell'etica e della morale.

"Per oltre sette mesi – racconta Stefano Simonetta, insieme a Elisabetta Vergani, referente del laboratorio per l'Università Statale – abbiamo lavorato settimanalmente su temi come l'attesa, la speranza (o la sua mancanza), la responsabilità, il tempo, le circostanze, il rispetto della legge, facendo emergere poco alla volta porzioni di vissuto dei partecipanti interni e, nel contempo, facendo crescere un dialogo fra loro, gli studenti esterni e i docenti".

"Volevo vivere questa esperienza – afferma Alice P., una delle studentesse dell'Università Statale – perché sentivo che ai miei studi di filosofia mancava il confronto diretto con alcune tematiche affrontate nei libri di morale. Il carcere è uno dei luoghi in cui il filosofo può misurare se stesso in relazione con l'altro e con le leggi della società su cui è spesso chiamato a esprimersi".

Brani di letteratura, testi filosofici e teatrali, poesie – da Socrate alla Hannah Arendt, da Sofocle a William Shakespeare, da Emily Dickinson ad Antonia Pozzi, da Fëdor Dostoevskij a Italo Calvino - sono stati il filo conduttore di un laboratorio che ha voluto superare i confini fisici del libro, dell'aula universitaria, per entrare in carcere e lasciar "parlare" anche chi ne ha perso il diritto.

Frequenti le incursioni nelle ore di lezione del mito della caverna di Platone che – come ricorda Davide N., un 'veterano' dei laboratori in carcere dopo la prima esperienza in quello di Bollate lo scorso anno accademico – "i detenuti hanno spesso citato sia per esprimere la loro condizione di uomini ombra, sia per spiegare il lavoro del filosofo e la sua attitudine a uscire fuori per vedere la realtà".

Un laboratorio dal profondo impatto emotivo per tutti "gli attori" in scena

I lunghi controlli all'ingresso e all'uscita, il senso di straniamento nel ritrovarsi in un non luogo, stereotipato e impersonale, incidono profondamente sugli "studenti venuti da fuori". Le persone "dentro" lo sentono, regalano cioccolati e caramelle, unico bene con cui accompagnare i ringraziamenti ai compagni per continuare a essere lì con loro tra quelle mura.

"In uno dei nostri incontri – racconta Ginevra C. ci è stato fatto dono di buonissimi biscotti fatti in camera, evento che ci ha toccato profondamente perché sappiamo bene come ai nostri compagni in carcere sia difficile reperire beni alimentari, dalla trafila per la spesa ai prezzi maggiorati".

Il modellino di veliero donato dai detenuti del carcere di Opera

Il modellino di veliero donato dai detenuti a Elisabetta Vergani e Stefano Simonetta

Riabilitazione, rieducazione, capacità di perdonare sono i concetti più ricorrenti durante un laboratorio che per Marina B. si è addirittura rivelato "un'occasione unica per uno sguardo nuovo sull'umanità, non solo da parte degli ospiti delle strutture penitenziarie, ma anche da parte di chi frequenta l'Università, che ha saputo abbassare le barriere difensive della vita quotidiana, guardando in maniera nuova alle persone, alle loro storie e al loro futuro
 

Un veliero per prendere il largo insieme

Il 23 maggio, è il giorno dei saluti per i 40 studenti del laboratorio. "Grazie per quello che fate e grazie per essere stati qui con noi in questi sette mesi" è il canto che accompagna la fine del laboratorio e l'uscita di scena degli attori al carcere di Opera.

I detenuti, però, hanno un'ultima sorpresa, prima dei saluti: un modellino di veliero in legno, costruito dai più abili tra loro in questo genere di lavori di piccolo artigianato, ma destinato a Elisabetta Vergani e Stefano Simonetta, i due docenti del laboratorio, con la speranza di "poter prendere il largo insieme, in qualche modo".

Oltre a Stefano Simonetta ed Elisabetta Vergani, ringraziamo Virginia D., Davide N., Marina B., Alice P., Sofia Q., Virginia B. e Ginevra C., per le loro testimonianze e tutti gli studenti e detenuti del laboratorio di scrittura e narrazione teatrale L'attesa e la speranza. Storie di confini.

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