Pubblicato il: 02/12/2019
I ricercatori al lavoro nella Grotta di Rio Martino nelle Alpi occidentali piemontesi

I ricercatori al lavoro nella Grotta di Rio Martino nelle Alpi occidentali piemontesi

Una ricerca internazionale coordinata dall’Università di Pisa, con il contributo di Andrea Zerboni, geoarcheologo, docente del dipartimento di Scienze della Terra "Ardito Desio" dell’Università Statale di Milano, ha documentato l’effetto delle attività umane sull’ambiente alpino già dall'Età del Ferro, circa 2.800 anni fa. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Report e si inserisce nel solco di quanto emerso in un precedente lavoro pubblicato su Science e realizzato da un gruppo di ricercatori tra cui alcuni docenti dell'Università Statale, che ha dimostrato come l’attività umana, migliaia di anni fa abbia iniziato a trasformare gli ambienti e l'ecologia terrestre. 

In questo nuovo studio, il gruppo di ricercatori, studiando le proprietà geochimiche e magnetiche di una concrezione di carbonato di calcio (colata stalagmitica) proveniente dalla Grotta di Rio Martino nelle Alpi occidentali piemontesi, ha ricostruito l’impatto degli effetti dei cambiamenti climatici e dell’attività umana negli ultimi 9.000 anni sull’ambiente alpino.
Lo studio si è concentrato, in particolare, sulla risposta delle concrezioni di grotta alla variazione della cosiddetta "zona critica" (Earth Critical Zone), la sottile 'pelle' che riveste il nostro pianeta e che va dalle acque sotterranee all’apice della vegetazione, passando attraverso il suolo e che, tramite una rete di complesse interazioni tra le diverse componenti biotiche ed abiotiche, determina la disponibilità di risorse che rendono possibile la vita sulla Terra. Lo sviluppo delle concrezioni di grotta è legato alle condizioni del suolo superficiale e la loro crescita può essere perturbata da processi naturali e guidati dall'uomo che avvengono sulla superfice terrestre; rivelandosi quindi strumenti potenti per ottenere informazioni sui cambiamenti all’interno della Zona Critica.

Dal  confronto fra le analisi geologiche e i dati archeologici, presso Rio Martino, è emerso quindi che nel periodo compreso tra 9.800 e 2.800 anni fa, quando la pressione antropica nei siti di alta quota era scarsa, l’erosione del suolo appare legata soprattutto a contrazioni naturali della vegetazione, legate a momenti di riduzione delle precipitazioni. A partire dall’Età del Ferro, 2.800 anni fa, i dati geochimici evidenziano invece un drastico cambiamento nella risposta del suolo, che determina una maggiore erosione in risposta al brusco aumento delle precipitazioni.

Nella regione Alpina con l’inizio dell’Età del Ferro si ritiene vengano messe a punto le tecniche casearie; la possibilità di conservare, trasformare e trasportare il latte prodotto in estate coincide con la nascita della transumanza stagionale, l’utilizzo permanente dei siti di alta quota e lo sviluppo della moderna economia alpina. I dati evidenziano dunque un precoce impatto umano sui processi propri della Zona Critica alpina, capace di modificarne il naturale funzionamento e amplificando gli effetti delle variazioni climatiche.

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