Pubblicato il: 25/01/2021
Bambina con mascherina - immagine tratta da Pixabay

Bambina con mascherina - Immagine tratta da Pixabay

 In uno studio pubblicato su Disability and Health Journal, un gruppo di ricercatori ha analizzato l’impatto del primo lockdown messo in atto dal Governo Italiano nella primavera 2020 (4.03-4.05.2020) in un campione di 514 bambini e adolescenti italiani affetti da malattie neurologiche, prevalentemente residenti in Lombardia. 

Lo studio è stato ideato dalla Neurologia Pediatrica dell’Ospedale Buzzi, dalla dr.ssa Bova con la supervisione di Pierangelo Veggiotti, docente di Neuropsichiatria infantile del dipartimento di Scienze biomediche e cliniche "Luigi Sacco" dell’Università Statale di Milano e realizzato con la collaborazione delle specializzande della scuola di specializzazione in Neuropsichiatria dell’Università di Milano e delle colleghe della Neuropsichiatria Infantile dell’Istituto Don Gnocchi (dr.ssa Olivieri) e del Dipartimento di Statistica e Metodi Quantitativi dell’Università di Milano-Bicocca (Dott.ssa Laura Savarè) per l’analisi statistica.

Le famiglie con minori di 18 anni seguiti presso la Neurologia del Buzzi o dell’Istituto Don Gnocchi sono state contattate telefonicamente (una valutazione in presenza era resa impossibile dalle limitazioni imposte dal lockdown) dai medici specializzandi o dai curanti per compilare un questionario ad hoc per indagare le condizioni di salute durante il lockdown e nei due mesi precedenti, l’accesso alle cure e alla riabilitazione durante il lockdown, e una serie di parametri di interesse rispetto alle pandemia (condizioni abitative, contatti).

Nessuno ha ricevuto una diagnosi di COVID-19, ma il 40% dei bambini del campione ha presentato sintomi di infezione virale nei mesi di gennaio e febbraio 2020. Tale percentuale si è drasticamente ridotta al 10% nei mesi del lockdown, mostrando in modo statisticamente significativo e inequivocabile che il lockdown ha protetto questi bambini dal rischio di contrarre una infezione virale (nel corso della prima ondata pandemica non era possibile effettuare i test diagnostici per SARS-CoV-2 in modo esteso). Inoltre a conferma di questo dato si documenta che i bambini che lasciavano regolarmente il domicilio sono stati maggiormente a rischio di ammalarsi rispetto a chi è rimasto sempre a casa. La correlazione con altri parametri analizzati (età, sesso, patologia neurologica di base e grado di disabilità, comorbidità), non è risultata statisticamente significativa.

Per quanto concerne l’accesso alle cure circa la metà dei bambini ha mantenuto un contatto stabile a distanza con il pediatra ed il centro di neuropsichiatria infantile di riferimento; anche i bambini che effettuavano un trattamento riabilitativo hanno proseguito a distanza in circa la metà dei casi. Se si considera che prima della pandemia la modalità telematica era zero è stato fatto un sforzo rapido per superare il problema dell'isolamento, arrivando ad oggi a una presa in carico più ampia. Va sottolineato che la teleriabilitazione ha richiesto un coinvolgimento attivo e costante da parte dei caregivers: grande lavoro e impegno per le famiglie, sommato allo smartworking, difficoltà per le famiglie che non hanno facilità con internet e/o che non parlano bene l'italiano. L’approccio telematico è sicuramente molto utile ma va perfezionato per renderlo accessibile a tutti.

Ci auguriamo che queste nostre osservazioni possano essere di aiuto per l’impostazione di politiche sanitarie efficaci in questo difficile e delicato momento. I bambini con malattie neurologiche sono infatti una popolazione particolarmente fragile e di cui poco si parla, che richiede una attenzione del tutto speciale anche in tema di politiche sanitarie in situazioni di emergenza come quella della pandemia in corsoInfatti da un lato è ragionevole immaginare che le complicanze dell’infezione da SARS-CoV-2 possano essere più severe rispetto alla popolazione pediatrica generale dall’altro una quarantena stretta richiede un solido supporto da parte delle famiglie, e limita l’accesso ai servizi di riabilitazione” commenta Pierangelo Veggiotti, coordinatore dello studio.

Questi dati riafferermano in modo scientifico come il lockdown, messo in atto nel corso della prima ondata pandemica, pur difficile da gestire, abbia protetto in modo molto efficace i bambini e gli adolescenti con disabilità dal rischio di infezione.                                  

Lo studio pubblicato su Disability  and Health Journal.

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