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La piroga esposta al Museo Rambotti di Desenzano del Garda - Immagine su gentile concessione del Comune di Desenzano del Garda
Dopo un lungo e complesso restauro, la piroga monossile dell'antica età del Bronzo rinvenuta presso la palafitta del Lavagnone dagli archeologi della Statale nel 2018 è esposta al Museo archeologico G. Rambotti di Desenzano del Garda all'interno della Sala dedicata ai ritrovamenti del sito del Lavagnone.
L'evento inaugurale si è tenuto il 1° giugno alla presenza di Maria Pia Abbracchio, prorettrice vicaria e con delega a Ricerca e Innovazione dell’Università Statale di Milano, e di Marta Rapi, docente di Preistoria e Protostoria al dipartimento di Beni culturali e ambientali e direttrice dello scavo che ha portato alla scoperta, nel 2018, della piroga monossile dell’antica età del Bronzo presso la palafitta del Lavagnone (sito UNESCO), con la partecipazione degli studenti del corso di laurea in Archeologia e della scuola di specializzazione in Beni archeologici dell’Ateneo milanese.
“Quando cominciò ad affiorare in scavo – ci racconta Marta Rapi - non si capì subito che si trattasse di una piroga, perché era stata modificata e deposta in modo tale da sancire, con un’intenzione probabilmente rituale, la fine del suo utilizzo: si presentava infatti tagliata in due parti, affondate verticalmente nella torba del deposito archeologico. Uno dei due segmenti conteneva un palo annerito col fuoco e assottigliato a metà della sua lunghezza, utilizzabile per spingere il natante nel basso fondale lacustre. Secondo alcune ipotesi, infatti, questo tipo di scafo sarebbe servito per il trasporto, nel breve raggio del bacino lacustre, di animali o specie botaniche commestibili o utili come materia prima per costruzione o altre attività artigianali”.
Il reperto è al centro di un progetto interdisciplinare, Il progetto, finanziato da fondi d'Ateneo per le ricerche archeologiche e della Regione Lombardia per i luoghi della cultura e i siti UNESCO, per realizzarne lo studio, la conservazione e la valorizzazione. L’analisi dendrocronologica si è svolta presso il Laboratorio di Dendrocronologia del museo civico di Rovereto dove Stefano Marconi e Roberto Calvetti hanno confrontato le sequenze di accrescimento anulare dei due segmenti dimostrando che sono stati ricavati da un unico tronco di quercia. Per la datazione si è ricorsi invece al radiocarbonio e c’è un’altissima probabilità che il reperto risalga a una fase non iniziale dell’antica età del Bronzo, che coincide con la cultura di Polada diffusasi nel Nord Italia tra il 2200 al 16001500 a.C.
“Pur non essendo l'unica monossile nota da palafitte dell'età del Bronzo in Italia settentrionale – prosegue la professoressa Rapi - il nostro esemplare costituisce un reperto eccezionale sia perché proviene da un contesto archeologico accertato, sia perché ha subito un adeguato trattamento conservativo, realizzato da parte di Annalisa Gasparetto del Centro di restauro per il legno bagnato della Soprintendenza di Milano e di Ilaria Bianca Perticucci della ditta Conservazione e Restauro”.
Trattandosi di legno imbibito e pertanto soggetto a rapido degrado, non appena estratta dal deposito archeologico per mano degli archeologi della Statale la piroga è stata messa in sicurezza in acqua, in una vasca di stoccaggio dotata di pompa di ricircolo, in attesa degli studi sul reperto e del trattamento di restauro vero e proprio, iniziato nel giugno 2020 con l’immersione della piroga in una soluzione di glicole polietilenico (PEG) a 50°C (il PEG è polimero simile alla cera, solido a temperatura ambiente ma liquido se riscaldato, che fornisce sostegno alle fibre legnose degradate).
Dopo 13 mesi di immersione, nel luglio 2021 il materiale è stato trasferito per l’essiccazione mediante liofilizzazione presso la CRIOFARMA di Roberto Bruttini di Torino. La procedura prevede il congelamento sotto vuoto e il processo di sublimazione dell’acqua contenuta nelle strutture cellulari del legno. Nell’ottobre 2021, infine, i reperti sono rientrati a Milano e dopo un periodo di stabilizzazione, si è proceduto con pennelli e tamponature di alcol etilico alla rimozione degli eccessi di PEG e alla ricomposizione delle porzioni frammentate.
“Dopo la fase di stabilizzazione – conclude Marta Rapi – ci siamo affidati alla expertise della società Aerariumchain di Giorgio Rea, con cui integrando 3D, intelligenza artificiale e blockchain abbiamo eseguito la scansione del reperto che ci permette di monitorare nel tempo le possibili variazioni strutturali successive al consolidamento, di realizzare una replica in scala 1:1 dell'imbarcazione per fare attività di archeologia sperimentale e, infine, di progettare il sostegno necessario per l'esposizione presso le sale del Museo Rambotti di Desenzano del Garda dove la piroga potrà essere ora visitata insieme ai reperti della collezione dedicata al sito del Lavagnone”.
“È straordinario quanto si possa imparare sulle culture che ci hanno preceduto e sulle nostre radici dall’impiego di un approccio altamente interdisciplinare come quello utilizzato per il recupero e il restauro della piroga del Lavagnone – aggiunge la prorettrice Maria Pia Abbracchio. “Il progetto ha richiesto competenze non solo archeologiche, protostoriche, antropologiche e botaniche, ma anche di stratigrafia geologica, chimica e radio chimica, fornite in parte dai nostri scienziati e in parte dagli esperti della Sovraintendenza”. “Va sottolineato inoltre il valore didattico-esperienziale del progetto, che ha visto in prima linea, insieme sullo scavo, sia docenti che studenti dei nostri corsi di laurea e dottorato per la preparazione della loro tesi. Un esempio virtuoso di formazione sul campo e di educazione al lavoro di team”. conclude la professoressa Abbracchio.
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