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La visita dell’Ambasciatore Italiano in Iraq, Maurizio Greganti, sullo scavo con il professor Luca Peyronel
Si è conclusa nei giorni scorsi la missione archeologica dell'Università degli Studi di Milano nel Kurdistan iracheno. Un mese e mezzo di ricerche e indagini a tutto campo nei siti di Helawa e Aliawa, condotte da un gruppo interdisciplinare guidato da Luca Peyronel, docente di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico, del dipartimento di Studi letterari, filologici e linguistici.
Il progetto archeologico della Missione Archeologica Italiana nella Piana di Erbil (MAIPE) è guidato e cofinanziato dall'Università Statale e dal MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale)
Il ruolo primario delle ricerche dell'Ateneo milanese nella regione è stato sottolineato a fine campagna di scavo dalla visita dell'Ambasciatore Italiano in Iraq, Maurizio Greganti, e del Console Italiano a Erbil, Michele Camerota. L'Ambasciatore si è recato sui siti e poi al Museo delle Civiltà di Erbil, dove si è tenuta la conferenza stampa a conclusione della Missione.
“I risultati di quest’anno sono stati di straordinario interesse per la ricostruzione della storia antica della regione, dal Neolitico all’epoca medievale – sottolinea il professor Luca Peyronel -. I due siti hanno infatti una lunghissima occupazione, che va dalle fasi preistoriche (VII e VI millennio, periodi di Halaf e Ubaid), allo sviluppo delle prime società complesse e dei centri urbani nel V e III millennio (periodi Tardo Calcolitico e Bronzo Antico), alla formazione dei sistemi politici regionali e dei grandi imperi sovra-nazionali nel II e I millennio a.C., fino al periodo Seleucide e Partico e all'avvento dell'Islam. Un osservatorio privilegiato, dunque, che consente di lavorare su contesti e periodi diversissimi, attraverso la successione delle varie fasi cronologiche e occupazionali, che nella loro sovrapposizione hanno portato i due centri a divenire delle collinette artificiali alte più di 22 metri sulla piana circostante".
Per indagare insediamenti così complessi il team di archeologi della Statale ha combinato i dati provenienti dalle ricognizioni di superficie e dallo scavo vero e proprio, le informazioni raccolte mediante telerilevamento con drone e GPS, i risultati di analisi micro-stratigrafiche e geo-archeologiche e le informazioni provenienti dallo studio dei reperti e dei resti umani, animali e vegetali.
Ad Helawa, in particolare, le indagini si sono concentrate sulle fasi più antiche, riportando alla luce una serie di strutture circolari abitative (tholoi) del periodo Halaf con focolari, fornetti e istallazioni, associate alla tipica e bellissima ceramica policroma dipinta di questa fase culturale, e un successivo edificio con muri in mattoni crudi formato da piccole stanze quadrangolari e ambienti rettangolari di maggiori dimensioni, probabilmente una grande abitazione, databile alla fine del VI millennio a.C. (periodo di Ubaid). I vani di quest'ultimo edificio erano provvisti di installazioni di vario tipo e al loro interno sono stati recuperati numerosi strumenti in selce, pestelli e lisciatoi in pietra e ceramica dalla caratteristica decorazione dipinta monocroma. Si tratta di una scoperta del più grande interesse per la ricostruzione di un periodo cruciale di sviluppo delle comunità di agricoltori e allevatori nella Mesopotamia settentrionale, documentato per la prima volta in una sequenza stratificata nella piana di Erbil.
Nel sito di Aliawa, che si caratterizza per una lunghissima e ininterrotta sequenza occupazionale dal periodo protostorico fino all'epoca islamica, invece, gli archeologi hanno lavorato in tre zone differenti: nella parte più elevata del sito (Area B), alla base del declivio meridionale (Area A) e nella città bassa (Sondaggi C e D).
Nell'Area B è stato riportato alla luce un settore di un imponente edificio di epoca ellenistica (IV secolo a.C.) verosimilmente collegato a un bastione difensivo di un centro fortificato dal carattere spiccatamente militare. Una scoperta assai rilevante è stata quella di un tetradrammo di argento di Alessandro Magno, una moneta che si diffonde in tutto l'estesissimo impero macedone, coniata in molte zecche e caratterizzata dall'effigie del sovrano come Ercole (ha come copricapo la pelle del leone nemeo) da un lato e dall'immagine di Zeus dall'altro.
Una vasta area per la manifattura su larga scala di ceramica, databile agli ultimi secoli del III millennio a.C. (Periodo Akkadico) occupa quasi tutta l'estensione dell'Area A. Identificata già nella campagna del 2021, è stata esplorata nel dettaglio quest'anno, mediante una analisi approfondita di archeologia della produzione. Non sono ancora noti i limiti di questo complesso, che si estende al momento su oltre 300 m². Sono state individuate e scavate più di 50 fornaci per la cottura dei vasi, realizzate su tre diverse terrazze e collegate da piattaforme in mattoni. Le fornaci mostrano impianti sofisticati per la diffusione dei gas e del calore, mediante condutture orizzontali e camini verticali, con le camere di combustione trovate ancora piene di cenere e quelle di cottura in alcuni casi crollate con all'interno ancora il vasellame che era stato posizionato per la cottura. Il livello di conservazione è dunque straordinario e in tutta la Mesopotamia settentrionale è noto soltanto un altro caso comparabile di atelier produttivo di questo genere.
Si è infine raggiunta l'occupazione più antica, della prima metà del III millennio a.C., riferibile al cosiddetto periodo di Ninive 5. Sono emersi alcuni silos circolari per lo stoccaggio di prodotti agricoli, orzo e grano in prevalenza, e nei depositi ricchi di resti vegetali sono state trovate decine di cretule (grumi di argilla apposti ai contenitori che conservavano le derrate alimentari), con impronte di sigilli cilindrici. Si trattava dunque di un'area destinate al controllo centralizzato delle risorse da parte dell'amministrazione di una entità politica che ancora deve essere chiaramente definita.
Aliawa del Bronzo Medio e Tardo (2000-1200 a.C.) doveva essere un grande centro di 30 ettari, probabilmente legato al suo ruolo economico nella produzione manifatturiera e i sondaggi aperti quest'anno nella città bassa (Area C e D) hanno fornito evidenze a sostegno di questa ipotesi con resti di fornaci, canalizzazioni per il drenaggio dell'acqua e molti materiali associati.
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