
Fossile dell’avvoltoio pleistocenico dei Colli Albani. Da sinistra a destra, alcuni blocchi di roccia con le piume fossilizzate, dettaglio della cavità della testa e calco digitale realizzato con tecniche tomografiche. Foto di Edoardo Terranova, modello 3D di Dawid A. Iurino.
Il fossile di un avvoltoio della specie Gyps fulvus del Pleistocene conservato presso il dipartimento di Scienze della Terra dell'Università Sapienza di Roma e scoperto nel 1889 nel complesso vulcanico dei Colli Albani a Roma, svela un particolare processo di fossilizzazione dei tessuti molli osservato per la prima volta. La conservazione del fossile, costituito da diversi blocchi di roccia, tra cui un blocco principale che conserva il calco completo della testa del rapace e blocchi minori che conservano le penne di un'ala, rappresenta un caso unico nella documentazione paleontologica finora nota.
Il team di ricerca dell’University College di Cork, dell’Università Statale di Milano, dell’Università Sapienza di Roma e dell’Università di Pisa, ha utilizzato potenti microscopi a scansione elettronica e tecniche di analisi molecolare per studiare piccoli campioni delle piume. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Geology.
“Con il fossile dei Colli Albani ci siamo trovati in un territorio inesplorato. Queste piume non assomigliano per niente a quelle che vediamo di solito in altri fossili. Infatti sono conservate tridimensionalmente e di colore rossastro. I risultati, hanno dimostrato che le parti organiche erano mineralizzate in zeolite, un minerale solitamente abbondante nei sedimenti ricchi di cenere. Non solo le strutture delle piume, come le barbe e le minuscole barbule, erano mineralizzate, ma anche i melanosomi – organelli ricchi di melanina che contribuiscono al colore delle piume”, spiega Valentina Rossi, prima autrice dello studio e ricercatrice dell’University College di Cork.
La fossilizzazione in contesti vulcanici rappresenta un fenomeno tanto eccezionale quanto complesso. Sebbene le alte temperature favoriscano una rapida distruzione dei resti organici, in determinate condizioni i sedimenti vulcanici possono innescare processi di conservazione unici, preservando non solo le ossa, ma anche le sagome tridimensionali dei corpi, come è successo nella nota eruzione del Monte Somma a Pompei.
“Le analisi indicano che l’avvoltoio non è stato vittima di una nube piroclastica ad alta temperatura, come accaduto a Pompei, bensì, dopo la morte, forse causata da esalazioni gassose, è stato avvolto da un fango di ceneri a bassa temperatura – ci spiega Dawid Adam Iurino, docente di Paleontologia dell’Università Statale di Milano –. Questa condizione ha consentito una conservazione dei resti, che, per dettaglio e antichità, supera quella dei reperti pompeiani”.
“Il fossile testimonia l’importanza di studiare le collezioni paleontologiche storiche presenti nelle università e nei musei. In questi archivi è racchiuso un potenziale di conoscenza ancora inesplorato. I fossili sono un patrimonio formatosi nel corso di milioni di anni che racchiude una parte significativa della storia del nostro pianeta. In Italia abbiamo un patrimonio paleontologico di valore scientifico e storico-culturale inestimabile, al quale sarebbe necessario dare maggiore attenzione”, conclude Raffaele Sardella, docente di Paleontologia dell’Università Sapienza di Roma.
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Dawid Adam Iurino
Dipartimento di Scienze della Terra Ardito Desio
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