Pubblicato il: 12/11/2025
Archeologia, dalla scoperta del passato un ponte verso il futuro

Veduta del sito archeologico di Nora, in Sardegna

L’Università degli Studi di Milano dedica, il 17 novembre, una giornata all’archeologia, con la partecipazione di ospiti e rappresentanti delle istituzioni impegnate nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

L’incontro sarà anche l’occasione per conoscere da vicino gli scavi archeologici dell’Ateneo, attivi in Italia, Grecia, Egitto, Iraq e Turchia, che coprono un arco cronologico amplissimo, dal Paleolitico all’età romana e oltre. Un momento di condivisione che riunirà la comunità universitaria intorno a una delle eccellenze della Statale. In occasione di questo appuntamento, abbiamo intervistato il professor Luca Peyronel, delegato alla Ricerca, Didattica e Terza Missione circa gli Scavi archeologici, per un approfondimento sull’archeologia della Statale, ma anche per saperne di più sul presente e sul futuro di una disciplina di grande fascino e rilevanza, anche nel contesto internazionale attuale. Come sottolinea il professor Peyronel, “ogni scavo, ogni progetto di ricerca condiviso con le istituzioni e le comunità locali rappresenta non solo un contributo alla conoscenza del passato, ma anche un gesto di fiducia nel futuro: un modo per ricostruire relazioni, rafforzare il dialogo interculturale e riaffermare il diritto universale alla cultura come strumento di pace e di libertà”.

La Statale vanta una lunga tradizione di studi in questo campo. Quanti sono gli studenti di archeologia oggi?

La Statale ha dei programmi di formazione in cui le discipline archeologiche sono presenti fin dalle lauree triennali (Lettere, Scienze dei Beni Culturali, Ancient Civilizations for the Contemporary World, quest’ultima interateneo con Venezia Ca’ Foscari e in inglese, novità significativa nel panorama italiano), una laurea magistrale in Archeologia e una Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici. Abbiamo poi diversi dottorandi con progetti di archeologia nelle nostre scuole dottorali. Lo studio delle civiltà e delle culture antiche attraverso l’archeologia è dunque uno dei pilastri dei nostri percorsi di scienze umanistiche. Alla magistrale di archeologia abbiamo oltre centocinquanta studentesse e studenti, e se contiamo anche quelli che si laureano nei percorsi triennali con tesi di archeologia ci attestiamo sui quattrocento studenti e studentesse. Moltissimi di questi partecipano con tirocini agli scavi archeologici, dove imparano le metodologie stratigrafiche, le modalità di documentazione di strutture e materiali, il disegno e la fotografia, immergendosi nell’attività pratiche e interagendo con i ricercatori delle varie equipe.

 

La vista dall'alto del sito archeologico di Selinunte

La vista dall'alto del sito archeologico di Selinunte

Quanti sono gli scavi di cui si occupa la Statale e in quanti Paesi del mondo?

La Statale è una delle pochissime università italiane a sostenere gli scavi archeologici con un fondo dedicato, stanziato ogni anno dall’Ateneo attraverso un bando con progetti sottoposti a referaggio e valutazione. All’interno di questo programma specifico rientrano ventuno scavi, illustrati nei pannelli della mostra che sarà inaugurata il 17 novembre in occasione della Giornata dell’Archeologia in Aula Magna. In realtà gli scavi attivi sono molti di più, quasi cinquanta, finanziati con altre risorse o sostenuti da progetti di collaborazione nazionale o internazionale. Le ricerche si svolgono soprattutto in Italia, molte in Lombardia, ma siamo presenti in undici Paesi su tre continenti, con importanti missioni archeologiche in Grecia, Egitto, Turchia, Iraq, nei paesi del Golfo. 

Quali sono le epoche storiche di cui si occupano gli scavi della Statale? 

Direi che la nostra è una archeologia davvero a tutto campo. Una caratteristica ‘strutturale’ dell’archeologia universitaria - e dunque anche dell’archeologia della Statale - è quella di porsi alla congiunzione di ricerca, didattica e terza missione. Nei nostri corsi di laurea la presenza di insegnamenti che coprono un ampio spettro di discipline archeologiche, con tirocini sul campo e stages, genera una relazione virtuosa tra  formazione (a più livelli) e ricerca. Al tempo stesso, l’archeologia ‘in azione’ si fonda sul legame diretto con i territori in cui si trovano i siti indagati, e dunque anche sul rapporto costante con le comunità. L’essere ‘pubblica’ e in dialogo con la società determina una vocazione intrinsecamente ‘sistemica’ alla terza missione della nostra archeologia. 
Sono cinque i dipartimenti a cui afferiscono le ricerche e gli scavi archeologici Unimi. Per tradizione, gli studi sul mondo classico sono particolarmente sviluppati, grazie agli scavi condotti dal Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali, in importantissimi siti della Magna Grecia e dell’Etruria – come Selinunte, Agrigento, Tarquinia, Forcello di Bagnolo S. Vito (il sito etrusco più settentrionale finora noto) e di epoca romana - come Nora in Sardegna (sito fenicio-punico poi conquistato dai Romani), Calvatone (l’antica Bedriacum), la villa di Tiberio a Sperlonga, la villa romana di Dragoncello nel territorio ostiense, quest’ultima con lo scavo afferente al Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, e Gortina, la capitale della provincia romana dell’isola di Creta. Anche le antiche civiltà dell’Egitto e del Vicino Oriente sono oggetto di indagine, con scavi nella necropoli dell’Aga Khan ad Aswan Ovest, di epoca tolemaica e romana), a Kültepe l’antica Kanesh in Cappadocia, alle origini del mondo ittita, nella piana di Erbil in Mesopotamia settentrionale, scavi questi che afferiscono al dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici. Ricerche di tipo soprattutto geo-archeologico e sul paesaggio antico (ad esempio in Libia e in Oman), ma anche di preistoria e protostoria, dalle grotte paleolitiche (Caverna Generosa) ai villaggi neolitici e dell’età del Bronzo (Travo S. Andrea, Poviglio), sono portate avanti dal Dipartimento di Scienze della Terra ‘Ardito Desio’. Sempre in ambito preistorico si collocano altri scavi del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali, nelle palafitte del Lavagnone e nell’insediamento di Negrar in Valpolicella. Un caso del tutto eccezionale è lo scavo ‘in Statale’, nella Cripta della chiesa della Beata Vergine Annunziata alla Ca’ Granda, che ha restituito una documentazione straordinaria sulla popolazione della Milano secentesca, con il ritrovamento dei resti dei defunti dello Spedale dei Poveri voluto dagli Sforza. Una esemplare ricerca multidisciplinare, che vede la collaborazione di archeologi e antropologi fisici del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute e di Beni Culturali e Ambientali. 

Quali sono le scoperte più rilevanti degli ultimi anni?

L’archeologia è una scienza umanistica che fonda la ricostruzione del passato sullo studio e l’interpretazione dei resti materiali, con i tempi lunghi propri di una raccolta sistematica di informazioni attraverso lo scavo stratigrafico dei contesti archeologici. La ‘scoperta’ che rivela, illumina, e apre spazi di conoscenza spesso inaspettati sugli uomini, le comunità e le culture più o meno distanti da noi, è solo l’aspetto eclatante che rende la disciplina affascinante per questo suo riportare alla luce ciò che era prima nascosto, fisicamente sepolto sotto la terra, perduto dunque, dimenticato. Nella rassegna pomeridiana della giornata di archeologia, i direttori delle missioni archeologiche della Statale presenteranno i risultati più significativi delle ultime ricerche, con la guida e la moderazione della giornalista Giulia Pruneti, caporedattore della rivista ‘Archeologia Viva’. 

Sono previste nuove aree di scavo e nuovi progetti di ricerca? 

Negli ultimi anni, e con una prospettiva di ulteriore sviluppo, l’archeologia della Statale ha avviato importanti progetti internazionali, in Egitto, Iraq, Turchia, Oman, Emirati Arabi, financo in Giappone. In futuro, il settore degli scavi all’estero potrebbe essere ulteriormente potenziato. Ad esempio, in Siria, l’Università di Milano aveva avviato una missione archeologica a Palmira, bruscamente interrotte nel 2010 con l’inizio della crisi e del conflitto nel paese. Caduta nelle mani dell’ISIS, la splendida città carovaniera della regina Zenobia è stata travolta della furia iconoclasta, subendo danni gravissimi, e in alcuni casi la distruzione quasi totale di monumenti di eccezionale valore, come il Santuario di Bel. 
Oggi, le mutate condizioni politiche consentono di riprendere i contatti con le autorità culturali siriane ed sono in corso di elaborazione nuovi progetti internazionali per il recupero dell’integrità archeologica del sito, ai quali partecipa anche il nostro Ateneo. In generale, l’evoluzione dell’archeologia in Statale si definisce attraverso una ampia e consolidata rete di relazioni nazionali e internazionali sviluppata grazie agli scavi e alle missioni archeologiche. Si tratta di un vero e proprio network che comprende oltre cento accordi di collaborazione scientifica e rappresenta il segno tangibile dell’eccellenza di questo settore di ricerca dell’Ateneo.

Come le tecnologie stanno cambiando il lavoro dell’archeologo? Ci sono tecnologie che stanno aiutando in modo particolare l’attività archeologica?

Senz’altro l’archeologia contemporanea, globale e a prospettiva integrata, è un’archeologia che non può fare a meno dell’apporto scientifico-tecnologico. La possibilità di stabilire collaborazioni interne all’università tra le cosiddette ‘scienze dure’ e quelle archeologiche è propria solo dei grandi atenei come il nostro e rappresenta una risorsa di grandissima rilevanza. Le nostre missioni hanno équipe che includono ricercatori di moltissime aree non umanistiche, i materiali provenienti dagli scavi sono analizzati e studiati nei nostri laboratori, che divengono spazi di formazione per studentesse e studenti non solo dunque di ambito umanistico. Per quanto riguarda i settori della ricerca che hanno aperto nuove prospettive, possiamo ricordare gli studi sul DNA con il tracciamento genetico che ha fornito dati di grande rilievo sulle forme di interazione e sugli spostamenti di gruppi umani, ma anche sui processi di diffusione della domesticazione degli animali. Tutto l’ambito dell’archeometria è in continuo sviluppo, dalla caratterizzazione dei materiali allo studio dei residui sugli oggetti, che permette di identificare ad esempio il contenuto di un vaso antico. Così come sempre più accurate sono le datazioni assolute di tipo scientifico, dal radiocarbonio alla dendrocronologia, e gli studi paleoclimatici, che hanno una particolare importanza anche rispetto a tematiche ecologiche di grande attualità.
Un altro esempio significativo è rappresentato dalla cosiddetta ‘rivoluzione’ dei droni. Gli UAV (Unmanned Aerial Vehicles), che oggi siamo purtroppo abituati ad associare al loro impiego in ambito bellico, costituiscono in realtà uno strumento fondamentale per la ricerca archeologica. Essi consentono di elaborare in tempi estremamente rapidi modelli digitali tridimensionali dei siti, di mappare ampie porzioni di territorio e di individuare nuovi potenziali contesti archeologici. L’impiego dei droni si è sviluppato parallelamente a tecniche sempre più sofisticate di analisi e interpretazione delle immagini satellitari, sia di tipo storico – come quelle provenienti dai satelliti spia statunitensi degli anni Sessanta, le CORONA – sia più recenti, oggi utilizzate con finalità di documentazione, monitoraggio e tutela del patrimonio archeologico.
In relazione alla gestione dei dati provenienti dagli scavi archeologici, l’avvento dell’Intelligenza Artificiale e dei sistemi di machine learning sta aprendo nuovi orizzonti di ricerca, offrendo strumenti innovativi per l’analisi, l’interpretazione e la valorizzazione delle informazioni archeologiche. Allo stesso tempo, queste tecnologie sollecitano un’ampia riflessione di natura metodologica ed epistemologica, chiamando a ripensare i processi di produzione, gestione e condivisione del dato scientifico. Anche in questo ambito il nostro Ateneo si colloca all’avanguardia. Nel nuovo Piano Strategico, l’Intelligenza Artificiale è stata individuata come uno degli assi centrali delle politiche di sviluppo dell’Università, con la previsione di azioni specifiche volte ad approfondire il ruolo e il significato dell’IA anche per la ricerca archeologica e per l’innovazione nei metodi di documentazione e scavo.

 

La veduta del sito di Helawa, nella piana di Erbil, Iraq

La veduta del sito di Helawa, nella piana di Erbil, Iraq

Qual è il significato più potente di una disciplina come l’archeologia?

L’archeologia ha la peculiarità di essere una disciplina che opera fisicamente nei luoghi, restituendo attraverso lo scavo la memoria tangibile del passato. Ogni sito archeologico riportato alla luce non solo genera nuova conoscenza sulle culture e sulle comunità che abitavano i contesti antichi, ma accresce concretamente il patrimonio culturale attraverso la scoperta e la documentazione di monumenti, edifici e manufatti. L’archeologia, in questo senso, stabilisce un ponte tra passato e presente, proiettandosi al futuro: il patrimonio che essa svela deve essere infatti reso fruibile, comunicato e valorizzato per le nuove generazioni. 
Si tratta di un processo che dovrebbe sempre includere la partecipazione attiva delle comunità e del pubblico, elemento essenziale nelle società contemporanee in continua trasformazione. In tal modo, l’archeologia assume un ruolo cruciale come strumento di integrazione e dialogo, poiché indaga il passato al di là di ogni distinzione o condizionamento ideologico, religioso o politico. 
Questo aspetto è tanto più rilevante per l’archeologia condotta dalle università, che rappresentano spazi democratici di libertà della ricerca, di formazione e di confronto culturale. La memoria del passato, ricostruita attraverso il paziente lavoro di analisi e interpretazione dei dati materiali, diviene così testimonianza della nostra diversità culturale e, al tempo stesso, delle radici comuni dei processi di sviluppo, crisi e trasformazione delle comunità umane nel corso dei secoli e dei millenni.

Di fronte a un mondo segnato dalle guerre e dai conflitti, in quale modo gli archeologi possono rappresentare dei “messaggeri” di pace?

Sul piano della complessa situazione geopolitica internazionale, segnata da conflitti soprattutto nei Paesi del Medio Oriente – dove la congiuntura dei danni al patrimonio culturale dovuti alla guerra si è drammaticamente intrecciata con saccheggi indiscriminati, scavi clandestini e distruzioni di siti e monumenti per effetto del fondamentalismo ideologico salafita dell’ISIS – la presenza di importanti missioni archeologiche italiane, tra cui quelle promosse dalla Statale, assume un valore particolarmente significativo. Essa rappresenta infatti una testimonianza concreta del valore universale della cultura e della conoscenza, in aperta opposizione alla loro negazione.
In contesti spesso segnati da instabilità politica e da gravi crisi umanitarie, la continuità delle missioni italiane diventa un atto concreto di resistenza culturale e di responsabilità collettiva verso la tutela del patrimonio dell’umanità. Ogni scavo, ogni progetto di ricerca condiviso con le istituzioni e le comunità locali rappresenta infatti non solo un contributo alla conoscenza del passato, ma anche un gesto di fiducia nel futuro: un modo per ricostruire relazioni, rafforzare il dialogo interculturale e riaffermare il diritto universale alla cultura come strumento di pace e di libertà.
 

Nel Calendario Eventi, info, programma e i link di iscrizione all'evento del 17 novembre "L’archeologia alla Statale. Una giornata dedicata alla scoperta del passato".

 

 

 

L’archeologia alla Statale. Una giornata dedicata alla scoperta del passato 

Dal Paleolitico alla Milano del Seicento, esplorando i territori di undici Paesi, tre continenti, e con nuove prospettive di ricerca in Italia e all’estero: alla Statale di Milano è stata presentata lunedì 17 novembre “L’archeologia alla Statale. Una giornata dedicata alla scoperta del passato”, con l’anticipazione di nuove ricerche nella Cà Granda e la ripresa di progetti per il patrimonio culturale della Siria, all’interno di un viaggio alla scoperta dei principali scavi degli ultimi anni.

Tra i progetti internazionali previsti per il prossimo anno l’Università Statale di Milano avrà un ruolo di primo piano nella rinascita di Palmira, l’antica città carovaniera della regina Zenobia. L’Ateneo aveva condotto ricerche archeologiche fino al 2010, interrotte dallo scoppio del conflitto siriano. Caduta nelle mani dell’ISIS, Palmira ha subito devastazioni quasi totali, tra cui la distruzione del celebre Santuario di Bel, ma oggi, grazie alle mutate condizioni politiche, è stato possibile riprendere i contatti con le autorità culturali siriane e avviare nuovi progetti internazionali per il recupero dell’integrità archeologica del sito, ai quali partecipa anche la Statale.

L’evento “L’archeologia alla Statale. Una giornata dedicata alla scoperta del passato” non è solo uno sguardo al futuro: ha messo infatti in luce l’intera attività della Statale legata all’archeologia, che si è aperta con i saluti istituzionali della Rettrice Marina Brambilla, di Francesca Caruso, Assessore alla Cultura di Regione Lombardia, e di Valentina Garavaglia, Rettrice dell’Università IULM. 

Lo studio delle civiltà e delle culture antiche condotto attraverso l’archeologia è uno dei cardini della nostra formazione umanistica nei vari livelli”, ha spiegato la Rettrice Marina Brambilla nel suo saluto iniziale. “Architrave della nostra identità, l’ecosistema interdisciplinare della Statale è risorsa di incomparabile valore, necessaria alle caratteristiche e alle esigenze della archeologia contemporanea, che non può prescindere dal contributo dell'ambito scientifico-tecnologico. I nostri archeologi hanno infatti a disposizione un vero e proprio bagaglio di competenze e saperi che consente confronti interdisciplinari continui, che realizzano un costante stimolo reciproco a sviluppare nuova conoscenza e creano connessione con i territori e le comunità, promuovendo il dialogo tra culture diverse”.

L’incontro è stato anche l’occasione per annunciare l’avvio di una nuova collaborazione scientifica e progettuale tra l’Università degli Studi di Milano e l’Università IULM, che segna la riapertura di ArcheoFrame, laboratorio IULM fondato nel 2007 dal professor Luca Peyronel, dedicato alla comunicazione e valorizzazione del patrimonio archeologico attraverso documentari, progetti museali, contenuti multimediali e nuove forme di disseminazione culturale.

"Con ArcheoFrame”, ha dichiarato la Rettrice dell’Università IULM Valentina Garavaglia, “riportiamo al centro una dimensione dell'archeologia che parla al presente: la capacità di raccontare, comunicare, condividere e rendere vivo il patrimonio culturale. Sono felice e orgogliosa di annunciare quest'oggi l'accordo della IULM con la Statale, il primo di una serie che io e la Rettrice Marina Brambilla abbiamo fortemente voluto, consapevoli dell'importanza strategica della collaborazione tra i nostri atenei, ciascuno secondo le sue eccellenze e competenze. È così che costruiamo comunità di docenti e studenti sempre più dialoganti fra loro e con il mondo".

In Italia, nel 2026 il LABANOF - Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense - diretto da Cristina Cattaneo, presenterà i primi profili genetici della popolazione seicentesca della cripta, un risultato mai ottenuto prima per un contesto ospedaliero di questa scala, che affiancheranno le analisi istologiche sui tessuti molli, materiale molto raro per il XVII secolo. Permetterà inoltre di studiare a livello microscopico malattie, trattamenti e condizioni di vita dei pazienti dell’Ospedale Maggiore. Parallelamente, si concluderà il progetto dedicato ai caduti delle Cinque Giornate di Milano. Una volta riuniti, questi set di dati consentiranno di mettere in relazione due momenti chiave della storia milanese e di verificare se vi furono relazioni tra i degenti seicenteschi e i patrioti ottocenteschi, inizialmente sepolti nelle camere della cripta e poi trasferiti sotto l’obelisco delle Cinque Giornate.

 

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