Pubblicato il: 07/05/2020
"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Guja Agazzi

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Guja Agazzi

Il vivere “ridotto” alla propria abitazione come occasione per uno sguardo rinnovato delle nostre case e degli oggetti che le ‘occupano’, per tracciare una mappa in cui gli oggetti diventano segni dell'esperienza fisica, affettiva e mnemonica accumulata dai corpi nello spazio domestico. Su questa intuizione nasce il progetto Gli oggetti di casa nostra” promosso da Paolo Rusconi, docente del dipartimento di Beni culturali e ambientali, con gli studenti del corso di Produzione artistica e società industriale. Un’idea nata come “work in progress” e scambio con gli studenti a cui è stato chiesto di descrivere, con una scheda tecnica e considerazioni più personali, un oggetto della propria casa.
Ne è uscito lavoro compiuto e articolato, con il contributo di oltre 30 studenti e l’elaborazione di grafica e immagini di Valentino Albini, presentato, su iniziativa del direttore del dipartimento Alberto Bentoglio, nell’ultimo numero di NOTOOTTO il report periodico digitale sulle attività del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali.
Abbiamo chiesto al professore 
Paolo Rusconi di raccontarci come è nato, come si è sviluppato e a quali riflessioni ha portato questo originale progetto.

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Gianmarco Gronchi

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Gianmarco Gronchi

Quali sono le suggestioni alla base del progetto "Gli oggetti di casa nostra"?

Le suggestioni sono diverse e giungono da letture eterogenee: da Design anonimo di Alberto Bassi a The Modern Interior di Penny Sparke sino all’indimenticabile La casa della vita di Mario Praz; così come da tanti quadri e fotografie di camere e interni degli artisti contemporanei. Per il modello di lavoro invece è stato utile il progetto curato dalla Fondazione Vico Magistretti intitolato “Il mio Magistretti”, in cui si chiedeva ai possessori di un oggetto del noto designer un breve pensiero sul manufatto.

 Nella scelta hanno prevalso oggetti di uso quotidiano o oggetti "estetici"? 

Non sarei così fiscale a distinguere in modo preciso l’oggetto di uso quotidiano con l’oggetto estetico, la lampada da tavolo di Wagenfeld - che mi è stata segnalata da uno studente perché presente in edizione recente nella sua camera - era nata nel laboratorio dei metalli del Bauhaus dall’idea di Gropius di creare “tipi” per gli oggetti di uso quotidiano. Tuttavia oggi la lampada ha un valore iconico e di indiscussa bellezza molto riconoscibile e, forse, il carattere tecnico-funzionale di produzione in serie per cui era nato è passato in secondo piano.
 
Probabilmente una prima riflessione sulle scelte degli oggetti inviati può essere fatta sulle ragioni storiche dei comparti merceologici da cui dipendono. Molti di essi, mobili, lampade, stoviglie, posate, suppellettili, provengono dall’area del cosiddetto Italian Design e delle aziende che rappresentano questo sistema. Spesso sono arredi, oggetti scelti dalle famiglie di provenienza e che testimoniano una tendenza di gusto generazionale abbracciata sul filo del gradimento e dell’affetto dai giovani discendenti. Ritornando al discorso precedente, in alcuni di questi oggetti osserviamo una esasperazione in senso artistico, una sorta di objet cult, la cui esteticità, supera in intensità l’aspetto funzionale.

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Margherita Catalano

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Margherita Catalano

Cosa più l’ha sorpresa nella scelta degli oggetti da parte degli studenti?

Un elemento che mi ha stupito è la quasi totale assenza del mobile "stile Ikea", marcando invece una rivincita del pezzo della “bisnonna”, la posateria, il servizio da tè o caffè a ricordarci che la componente biografica e simbolica è ancora importante nella scelta delle cose da usare ogni giorno. 
Un altro aspetto interessante e rilevabile ad un primo sguardo è la presenza di oggetti cosiddetti di recupero, trasformati e personalizzati in arredi di casa o in suppellettili. In alcuni di questi casi vi è una consapevolezza del contesto particolare che viviamo e della necessità sociale del concetto di riuso.  In generale, però, vorrei dire che in tutte le proposte inviate dagli studenti è data una reinterpretazione dell’oggetto secondo le prospettive dei gesti di ogni giorno, della storia familiare, dell’utilità o della fruizione estetica, rilevandone il senso reale ed esperienziale.

 Quale riflessione è possibile sviluppare su oggetti, come dice lei, anche di "design anonimo" ma così "significativi" nel nostro quotidiano?

Durante la raccolta dei testi e delle fotografie, il 29 marzo è uscito sull’inserto domenicale di "Il Sole 24 Ore" un articolo di Fulvio Irace, stimato collega del Politecnico, che invitava nell’emergenza tra le “quattro mura” a riconsiderare gli arredi sui quali siamo seduti. Irace scrive “quante volte al giorno – e soprattutto in questi giorni in cui è necessario restare a casa – ci sediamo per riposare, studiare, leggere e mangiare? Ma quanta attenzione dedichiamo alla sedia cui affidiamo automaticamente il nostro corpo?”. Queste domande sono le stesse che ci siamo posti nel corso, allargando la visuale alle cose sparse nelle nostre case. 
Eppure, al di là dello sguardo che ci permette di ripensare ai nostri gesti della quotidianità, è il significato che tali oggetti potrebbero assumere oggi a diventare urgente. Ricordo la vicenda di un pittore italiano del ‘900 che ammiro molto, Renato Birolli. Nell’aprile del 1943, sfollato per i bombardamenti in una cascina a Cologno di Melegnano, Birolli ritorna a Milano nel suo studio di via Plinio. È l’occasione per salvare gli oggetti delle sue nature morte: oggetti poveri, domestici, “carabattole” come un bicchiere verde rotto, un salvadanaio, etc.. Rispetto al drammatico venire meno di valori comuni di riferimento per la minaccia bellica, il pittore si era aggrappato agli oggetti della propria quotidianità, per ritrovare un senso, per riorganizzare uno spazio fisico vitale e perché alludono alla “felicità della pittura”.

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Daniele Fraulini

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Daniele Fraulini

Questi oggetti quotidiani in che relazione sono con il concetto contemporaneo di "design"? 

Forse la relazione è nulla, in un tempo di smaterializzazione come quello che viviamo. Nell’era digitale non bastano più le definizioni di design come forma del prodotto o della merce ma piuttosto si traduce nel progetto di un processo comunicativo. Questo nuovo rapporto con le tecnologie della rivoluzione elettronica non è stato contemplato nelle scelte di design presentate, nessun studente mi ha proposto il suo Smartphone, anche se le fotografie degli oggetti inviate sono state realizzate attraverso la fotocamera del telefono mobile.
Malgrado questo ribaltamento dell’era del Digital design, la materialità e la fisicità degli oggetti ha ancora un senso se collegata alla nostra vita. In conclusione riproporrei la famosa frase dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer che diceva “La vita è più importante dell’architettura” e, quindi, anche del Design.

 Ci sono oggetti che in particolare l'hanno colpita, per la scelta o per la "spiegazione" che e' stata data?

Ciascuna scheda inviata è interessante e il dato di descrizione tecnica è stato redatto in maniera puntuale. La parte relativa alla storia dell’oggetto, dal suo arrivo in casa all’attuale localizzazione, al significato affettivo o “esperienziale” che esso ha assunto nella vita si modifica in relazione al registro di scrittura che ogni studente ha impiegato. Chi ha preferito scegliere una modalità commentativa e chi invece una narrativa, chi provocatoriamente ha voluto evidenziare gli elementi paradossali della sua scelta chi invece ha voluto farne un’analisi critica sull’onda delle letture di pioneer work come Art and Industry di Herbert Read. 
Alcuni oggetti mi sono apparsi sotto luce nuova come un tappetino di gomma termoplastica o come la bilancia della cucina, altri evocano le abitudini sociali di una generazione come la scatola da toeletta incassata nel muro, girevole e con il posacenere incorporato. Altri oggetti ancora si caricano di un coinvolgimento emozionale perché scandiscono i momenti importanti della vita come l’infanzia e allora lo scatto della bimba che trova conforto e dimora tra i ripiani della libreria a parete può aggiungere un ulteriore livello di lettura al concetto di Good Design.

 

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Matteo Mario Grassi

"Gli oggetti di casa nostra" scelti da Matteo Mario Grassi

 Come si svilupperà il progetto?

Inizialmente nato come una cartella di semplice condivisione e poi come spunto per una discussione comune attraverso i canali della didattica a distanza, “Gli oggetti di casa nostra” si è trasformato in una opzione comunicativa più strutturata grazie all’aiuto di Valentino Albini. Sua e di Alberto Bentoglio l’idea di pubblicare questo lavoro in NOTOOTTO, il report periodico digitale sulle attività del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali.

Ha pensato a nuovi progetti a cui lavorare con gli studenti nella stessa direzione?

Il prossimo invito agli studenti è quello di cercare tra i romanzi conservati nella biblioteca di casa una pagina dedicata alla descrizione di un interno domestico. Ad esempio può essere l’appartamento razionalista milanese del protagonista del Don Giovanni in Sicilia di Brancati, la camera impersonale del Signor Jérôme al settimo piano dello stabile parigino rappresentato da Perec in La vita istruzioni per l’uso o ancora lo spazioso due-camere-soggiorno-cucina del coprotagonista del romanzo Flipper di Murakami. Dopo aver individuato il brano si tratterebbe per lo studente di leggerlo e registrare la sua lettura con un audio. Mi piacerebbe poi unire tutte le registrazioni per un ascolto comune di queste autorali narrazioni di ambienti. Sarebbe anche un modo di ascoltare le voci dei nostri studenti dalle loro case, di “sentire – come ha scritto il Rettore - la presenza viva dei nostri studenti” anche lontani dalle aule universitarie.

 

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