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Uno degli incontri per il progetto "PrimaGen"
Inclusione, supporto e valorizzazione per studentesse e studenti universitari che per primi, nelle proprie famiglie di provenienza, intraprendono un percorso di studi universitario. Sono gli obiettivi del progetto “PrimaGen” nato all’Università Statale di Milano, guidato da Angela Biscaldi, antropologa, docente del dipartimento di Scienze sociali e politiche, ideatrice e coordinatrice scientifica del progetto, e Giuseppe Mazzarino di Fare Ricerca Academy, ente del terzo settore che dal 2019 si occupa di consulenza utilizzando tecniche di ricerca qualitativa e di formazione nell’ambito delle scienze umane e sociali, con la collaborazione del COSP, Centro per l’orientamento allo studio e alle Professione dell’Università Statale. “PrimaGen” si inserisce all'interno del più ampio progetto interuniversitario PROBEN finalizzato alla promozione del benessere psicofisico e al contrasto ai fenomeni di disagio psicologico ed emotivo della popolazione studentesca.
Professoressa Biscaldi, come nasce il progetto "PrimaGen" e come viene svolta l’attività di ricerca su questa particolare “popolazione studentesca”?
Il progetto nasce con l’obiettivo di migliorare l’inclusione degli studenti e delle studentesse di “prima generazione”. Per farlo, è necessario, naturalmente, procedere a una fase conoscitiva e di indagine. Abbiamo scelto, quindi, di condurre la ricerca con un approccio etnografico, basato sull’osservazione, l’ascolto e le interviste in profondità: la ricerca si concluderà nel mese di settembre con 100 interviste a studenti e studentesse perlopiù, ma non esclusivamente, della Statale. Questo approccio ci permette di indagare le traiettorie biografiche per comprendere le criticità che accompagnano il percorso universitario di studenti e studentesse di prima generazione— come la difficoltà nell’accesso alle informazioni, nella gestione delle procedure burocratiche, nelle problematiche economiche o la solitudine sociale — ma anche di indagare le risorse e le strategie messe in atto per affrontarle, i significati attribuiti alla formazione universitaria in termini di emancipazione, resilienza e trasformazione sociale. Vogliamo evitare generalizzazioni riduttive e favorire, invece, una comprensione situata delle esperienze. L’approccio etnografico, infatti, consente di cogliere la dimensione relazionale e trasformativa del percorso universitario, evidenziando in che modo esso modifichi non soltanto le esperienze individuali, ma anche i rapporti familiari, le aspettative intergenerazionali e il senso di appartenenza sociale.
Quali sono le prime considerazioni che si sente di fare dall’avvio della ricerca?
Mi sento di condividere la soddisfazione per questa ricerca che ci permette di portare l’attenzione e riflettere criticamente sull’importante lavoro di inclusione e formazione svolto quotidianamente dalla nostra università. I “PrimaGen” rappresentano infatti un’importante opportunità di cambiamento: attraverso il successo accademico, possono diventare agenti di mobilità sociale, contribuendo a modificare la percezione e il ruolo della formazione universitaria all’interno delle loro famiglie e comunità. In tal senso l’università diventa per questi studenti e studentesse uno strumento utile per ridisegnare la propria condizione sociale e aspirare a migliorare le proprie condizioni di vita; al tempo stesso la sua rappresentazione culturale nello spazio pubblico appare dai “PrimaGen” e dalle loro famiglie, risignificata in termini di opportunità, investimento, possibilità di emancipazione.
Per molti studenti di prima generazione, l’università ha rappresentato un’opportunità concreta di mobilità sociale, un mezzo per riscattare condizioni familiari difficili, un modo per riscrivere la propria storia personale e contribuire a ridefinire le aspirazioni collettive. Il successo accademico non è vissuto solo come un traguardo individuale, ma anche come un risultato corale, un atto di restituzione verso la propria famiglia e la propria comunità. In questo senso, l’università assume una funzione simbolica fondamentale, che va ben oltre il suo ruolo formativo tradizionale. Essa diventa uno spazio in cui si sono costruite nuove appartenenze, si consolidano identità in transizione, e si sviluppano competenze non solo accademiche, ma anche sociali, affettive e politiche.
Sotto la dicitura “PrimaGen” vengono indicati tutti coloro che per primi, nel nucleo familiare, intraprendono un percorso di studi universitari, eppure le storie di vita e le provenienze sono spesso molto diverse. Quali sono le principali differenze, per esempio tra giovani con i genitori nati e vissuti in Italia e giovani di seconda generazione? Ve ne sono altre che state individuando?
Le principali differenze tra i giovani “PrimaGen” con genitori nati e cresciuti in Italia e i giovani di seconda generazione (ossia figli di immigrati, nati o cresciuti in Italia) riguardano soprattutto il background culturale e linguistico, il rapporto con l’università e il modo in cui si costruisce il senso di appartenenza.
I giovani con genitori italiani condividono già una certa familiarità con il contesto culturale e linguistico dell’ateneo, sebbene siano per primi a viverlo. Ciò riduce l’impatto di gap comunicativi o la necessità di tradurre implicitamente le norme accademiche.
Di contro, i figli di migranti si trovano a mediare tra due mondi: spesso vivono l’esperienza universitaria come parte di una “traduzione culturale”, dovendo imparare non solo i contenuti disciplinari, ma anche codici comportamentali, linguaggi impliciti e strategie relazionali tipici dell'accademia. Questa dinamica crea un senso di spaesamento più marcato, accentuato dalla difficoltà a trovare modelli familiari con un percorso universitario. Allo stesso tempo, la familiarità limitata dei genitori con il sistema educativo italiano può tradursi in minore supporto domestico rispetto a norme, burocratismi e aspettative formative.
Oltre alla distinzione genitoriale, abbiamo rilevato altre differenze all’interno del gruppo PrimaGen. Ad esempio, alcuni studenti, pur appartenendo alla prima generazione universitaria, vantano un capitale culturale elevato (ad esempio grazie al background professionale dei genitori), mentre altri affrontano barriere economiche e logistiche più ostinate. Anche il lavoro durante gli studi — più frequente tra le prime generazioni — influenza il grado di impegno sul campus e il senso di partecipazione.
In conclusione, sotto l’etichetta “PrimaGen” convivono vissuti molto diversi: differenze legate al background culturale e linguistico, diversità nei livelli di sostegno familiare e nelle condizioni economiche, e potenziali disparità nella partecipazione alla vita universitaria. Tenere conto di questa eterogeneità è fondamentale per progettare interventi di supporto e inclusione realmente efficaci.
Come rispondono ragazzi e ragazze a questo tema? Tra giovani che si affacciano all’università come è vissuta l’idea di essere “PrimaGen”? Prevale il senso di responsabilità, il timore per un’esperienza nuova, il senso di essere isolati?
La consapevolezza di essere i primi della propria famiglia a intraprendere questo percorso produce emozioni contrastanti, che oscillano tra orgoglio, senso di responsabilità, entusiasmo, ma anche timore, spaesamento e solitudine. Molti studenti raccontano di vivere l’ingresso all’università come una sorta di riscatto, un traguardo che non riguarda solo loro, ma che investe simbolicamente l’intero nucleo familiare. L’idea di “fare qualcosa che nessuno prima ha fatto” alimenta un forte senso di determinazione, ma allo stesso tempo porta con sé un carico di aspettative implicite. Alcuni sentono il bisogno di non deludere i genitori, di “rendere giustizia” ai sacrifici fatti, anche quando la famiglia non conosce a fondo l’universo accademico. Questo senso di responsabilità può essere un motore potente, ma rischia anche di diventare un peso, soprattutto nei momenti di difficoltà o incertezza.
Altri studenti descrivono invece un vissuto più solitario. L’assenza di riferimenti familiari diretti rende l’università un territorio nuovo e talvolta ostile, in cui non è facile orientarsi. Il confronto con coetanei che sembrano muoversi con più disinvoltura nei corridoi accademici – perché hanno genitori laureati o conoscono già il lessico universitario – può generare un senso di inadeguatezza. In certi casi, si avverte la percezione di non avere “le chiavi giuste” per stare dentro quel mondo, o addirittura di non avere diritto a starci. Questo senso di marginalità è tanto più acuto quanto meno si trovano figure di riferimento, tutor o pari con cui condividere l’esperienza.
Ci sono poi coloro che affrontano tutto con un forte spirito di adattamento: imparano presto a muoversi tra i vincoli burocratici, a cercare risorse e supporti, a costruire un proprio posto dentro l’università. Per questi studenti, l’identità PrimaGen non è tanto un’etichetta, ma un processo, qualcosa che si definisce nel tempo, man mano che ci si misura con le proprie possibilità, si costruiscono reti, si sperimentano successi e inciampi.
In sintesi, l’idea di essere PrimaGen viene vissuta in modo sfaccettato. Il senso di responsabilità è una componente diffusa, ma convive spesso con la paura dell’ignoto e con il timore di non essere all’altezza. Tuttavia, proprio questa condizione liminale – tra appartenenze vecchie e nuove, tra esclusione e possibilità – genera anche consapevolezze profonde e una capacità critica che molti studenti e studentesse riconoscono come una risorsa preziosa nel loro percorso.
Che tipo di “attenzione” e servizi potrebbero funzionare per i “PrimaGen”? Il progetto prevede azioni specifiche?
Il progetto ha mostrato chiaramente che la condizione di PrimaGen richiede interventi concreti, non solo etichette descrittive. Tra le risposte più efficaci individuate c’è l’attivazione di tutoraggi tra pari, in cui studenti e studentesse di prima generazione, già inseriti nel percorso universitario, possano affiancare chi è appena entrato, offrendo non solo informazioni pratiche, ma anche riconoscimento simbolico e vicinanza. Questi tutor, forti della loro esperienza personale, potrebbero rappresentare un ponte fondamentale tra l’università e chi vi accede senza modelli familiari di riferimento. Accanto a questo, è emersa la necessità di rafforzare e adattare i servizi di supporto psicologico, economico e didattico e di orientamento già presenti, rendendoli più visibili, accessibili e pensati sulle specificità dei PrimaGen, che spesso li utilizzano meno pur avendone più bisogno. Una delle iniziative realizzate, per esempio, in collaborazione con il Consolato del Perù ha evidenziato l’utilità di costruire spazi di incontro fuori dalle aule universitarie, in luoghi più familiari agli studenti, capaci di rafforzare senso di appartenenza e fiducia. Queste esperienze dimostrano che solo agendo su più piani — relazionale, istituzionale e culturale — è possibile costruire un’università realmente inclusiva.
Chi fosse interessato a partecipare al progetto, può scrivere una mail all'indirizzo: farericercalab@gmail.com oppure compilare il form online.
Contatti
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Angela Biscaldi
Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche
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