Pubblicato il: 31/03/2020
Immagine tratta da Pixaby

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Con uno studio internazionale, che ha coinvolto 65 centri in 15 diversi Paesi nel mondo, coordinato da Maria Domenica Cappellini, docente di Medicina Interna del dipartimento di Scienze cliniche e di Comunità dell’Università Statale di Milano, è stata messa a punto per la prima volta una terapia farmacologica, a base di Luspatercept, alternativa alle trasfusioni per la terapia delle sindromi talassemiche che nel mondo, soprattutto in alcuni Paesi del Mediterraneo, nel Sudest asiatico e in Medioriente rappresentano un problema di salute pubblica, la cui gestione è spesso inadeguata per carenza e sicurezza del sangue.
I risultati sono stati pubblicati su New England Journal of Medicine e hanno portato alla registrazione del farmaco sia da parte degli enti Food and Drug Administration (FDA), negli Usa, che da parte della European Medicines Agency (EMA), per l’Unione Europea. A breve è auspicabile che la nuova terapia farmacologica possa essere disponibile sul mercato.

La talassemia è una patologia ereditaria, frequente in Italia, caratterizzata da una ridotta o addirittura assenta produzione delle catene globiniche dell’emoglobina che nella forma severa, per la sopravvivenza, richiede una terapia con trasfusioni di sangue ogni 2/3 settimane per tutta la vita. Si tratta quindi di una malattia severa che si complica anche per le comorbidità conseguenti alla terapia trasfusionale e che richiede in associazione alle trasfusioni una terapia che rimuova il ferro (terapia ferrochelante) accumulato con le trasfusioni stesse. Il trapianto di midollo potrebbe essere una terapia curativa ma purtroppo è perseguibile in un numero limitato di soggetti in quanto il donatore di midollo deve essere compatibile al 100% con il ricevente. La terapia genica è in fase di studio ma ancora i risultati sono preliminari ed il costo della procedura ne potrà limitare l’utilizzo.

Il Luspatercept è un farmaco inizialmente sperimentato per trattare l’osteoporosi che in realtà si è rivelato avere un effetto sull’eritropoiesi ed in particolare nella fase terminale della maturazione eritroide riducendo la quota di eritropoiesi inefficace nelle condizioni in cui essa è prevalente, e pertanto corregge l’anemia. Le varie forme di talassemia si caratterizzano proprio per avere una elevata quota di eritropoiesi inefficace dovuta allo sbilanciamento tra le globine che dovrebbero formare l’emoglobina. Negli studi di fase 1 e 2 i risultati e la sicurezza del farmaco hanno consentito di disegnare lo studio registrativo di fase 3 i cui risultati sono presentati nel lavoro. In sintesi si è visto analizzando una coorte di pazienti talassemici trattati con il farmaco rispetto ad una coorte trattata con placebo che più del 70% dei pazienti in terapia hanno ridotto del 33% ed il 40% hanno ridotto di oltre il 50% il fabbisogno trasfusionale nel periodo di osservazione di un anno. Alcuni pazienti nell’estensione dello studio hanno raggiunto la trasfusione indipendenza. I risultati mostrano un significativo impatto sulla qualità di vita dei pazienti, se si considera anche il fatto che il farmaco viene somministrato sotto cute ogni 21 giorni in alternativa alla terapia trasfusionale. Il farmaco è una proteina di fusione che si lega al recettore per l’activina e in questo modo interferisce sulle via di controllo dell’eritropoiesi attraverso la via SMAD 2/3.

I risultati di questo studio sono incoraggianti anche per l’impiego di tale farmaco in altre patologie che si caratterizzano per presenza di eritropoiesi inefficace quali le sindromi mieolodisplastiche, le diseritropoiesi congenite”, commenta la professoressa Cappellini.

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