Pubblicato il: 10/03/2021
Immagine tratta da Pixabay

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Uno studio coordinato dal gruppo del professor Arthur Butt dell’Università di Portsmouth, in collaborazione con l’Università di Padova, l’Università di Dusseldorf e l’Università Statale di Milano e pubblicato sulla rivista Aging Cell ha permesso di ricostruire le cause dell’invecchiamento cerebrale, identificando la mielina come bersaglio primario delle alterazioni associate all’invecchiamento, e ha posto le basi per futuri studi di “ringiovanimento” delle cellule produttrici di mielina.

Nonostante nell’invecchiamento cerebrale si osservi una riduzione della memoria, della capacità di apprendimento e di reazione agli stimoli ambientali, da anni si sa che, nel cervello anziano, il numero dei neuroni, le cellule specializzate nelle funzioni intellettuali e cognitive, non è molto diverso da quello che si osserva nel cervello giovane”, spiega la professoressa Maria Pia Abbracchio del dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università Statale di Milano, coautrice dello studio. “Ciò che questo studio mette chiaramente in evidenza è che, nell’anziano, la funzionalità dei neuroni viene alterata a causa di una drastica diminuzione nel numero di oligodendrociti, le cellule specializzate nella produzione di mielina, la sostanza che riveste i prolungamenti nervosi permettendo la trasmissione degli impulsi elettrici e la comunicazione fra le varie parti del cervello e il mondo esterno. La riduzione degli oligodendrociti compromette la capacità di rimielinizzare le zone del cervello dove si verificano danni alla mielina, condizione comune a molte malattie neurodegenerative, in primis la sclerosi multipla”.

Tramite una tecnica nota come Next Generation RNA Sequencing, che permette di sequenziare grandi genomiin un tempo ristretto, condotta in parallelo sul cervello di topi giovani e anziani e seguita da una complessa analisi di predizioni bioinformatiche, è stato possibile dimostrare che la diminuzione degli oligodendrociti è legata a un progressivo rallentamento di alcune funzioni-base dei loro progenitori “simil-staminali”, gli OPC (oligodendrocyte precursor cells), molto proliferanti e reattivi in caso di danno, che hanno la caratteristica di rimanere vitali durante l’intera vita adulta, provvedendo così a riparare il cervello mantenendone la funzionalità”, conclude Abbracchio.

Studi di fate mapping condotti in parallelo, che permettono di seguire nel tempo il destino finale degli OPC nel cervello, hanno dimostrato che nell’anziano queste cellule mostrano profonde alterazioni del loro metabolismo, della durata del ciclo cellulare e soprattutto della loro capacità di maturare e quindi di produrre mielina” spiega il Dr. Davide Lecca, ricercatore che ha collaborato all’analisi bioinformatica dello studio. “Il gene maggiormente alterato è risultato essere GPR17, recettore identificato 15 anni fa nel nostro laboratorio (Ciana et al., 2006; Lecca et al., 2008) e già implicato in diverse malattie neurodegenerative, inclusa la sclerosi multipla. In particolare, GPR17 è espresso da una sottopopolazione di OPC dotata della capacità di reagire prontamente ad insulti di vario tipo favorendo la rimielinizzazione necessaria al ripristino della funzione cerebrale.  La perdita di GPR17 riduce quindi la capacità degli OPC di interagire con l’ambiente circostante e con i neuroni e di rispondere in maniera plastica al danno, compromettendo le attività di connessione sinaptica alla base di processi cognitivi quali memoria e apprendimento” conclude Lecca.

Infine, tramite due distinti approcci di analisi farmacogenomica in silico, i ricercatori hanno anche identificato LY294002 (un inbitore della via di segnalazione intracellulare di mTOR, coinvolta sia nella maturazione degli OPC che nella regolazione di GPR17, Fumagalli et al., 2015) come molecola potenzialmente in grado di revertire alcune delle alterazioni patologiche osservate negli OPC anziani. L’efficacia di questa molecola è stata confermata in un modello in vivo di degenerazione locale della mielina, dove LY294002 ha dimostrato una notevole capacità di rigenerare gli OPC e favorire la rimielinizzazione.

“Ringiovanire” gli OPC potrebbe quindi rappresentare una strategia vincente non soltanto per contrastare l’invecchiamento cerebrale ma anche per migliorare il decorso e favorire la rimielinizzazione nelle malattie neurodegenerative quali sclerosi multipla, ictus cerebrale e Alzheimer.

Lo studio, pubblicato è stato finanziato, fra gli altri, dal MIUR e dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (progetto PRIN2017 e FISM-Bandi2017 assegnati alla prof.ssa Maria Pia Abbracchio), e dalla Multiple Sclerosis Society in UK.

Lo studio pubblicato su Aging Cell. 

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