Si è svolta nell’Auditorium di Palazzo Italia, in un clima di viva emozione, la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Statale di Milano. Prima della sua storia a MIND, l’inaugurazione è stata preceduta dalla cerimonia di svelamento della prima pietra del nuovo Campus, una lastra di marmo di Candoglia. Erano presenti, tra gli altri: il rettore Elio Franzini, la prorettrice vicaria Mariapia Abbracchio, il direttore generale Roberto Conte, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alessandro Morelli, il consigliere del Ministro dell’Università e della Ricerca Cristina Rossello, l’assessore all’Università, Ricerca, Innovazione di Regione Lombardia Alessandro Fermi, il prefetto di Milano Renato Saccone, il sindaco di Milano Giuseppe Sala, il sindaco di Rho Andrea Orlandi, monsignor Luigi Bressan, il presidente di Human Technopole Gianmario Verona, il CEO Lendlease Europa Andrea Ruckstuhl, l’amministratore delegato di Arexpo S.p.A. Igor De Biasio, il direttore del MIT Senseable City Lab e autore della visione architettonica del Campus MIND Carlo Ratti, il presidente della Conferenza degli studenti dell’Università degli Studi di Milano Elia Montani.
È il valore dei simboli il filo conduttore della giornata: simboli scelti per fissare in modo inequivocabile l'identità di una trasformazione che intende valorizzare il legame con la storia, con la memoria, con l'identità più profonda della Statale. Il marmo di Candoglia scelto per la cerimonia della prima pietra del Campus in MIND, elemento costitutivo del Duomo di Milano, concesso con generoso entusiasmo dalla Veneranda Fabbrica, rappresenta il dialogo ininterrotto dell'Ateneo con Milano, ma sottolinea anche la perfetta continuità con la sua origine. Sempre di marmo di Candoglia era, difatti, la prima pietra di quella Città degli Studi che nel 1915, a Cascine Doppie, iniziava la storia di quella che dopo otto anni di attivismo di Mangiagalli sarebbe diventata l'Università degli Studi di Milano. Un quartiere che la Statale ha scelto di non abbandonare, nonostante lo spostamento in MIND della quasi totalità delle sue componenti scientifiche ma, al contrario, ha deciso di valorizzare, confermandone la vocazione universitaria con il recente avvio della realizzazione per il nuovo Campus umanistico. Apice della simbologia, che accompagna tutta questa storica giornata, la data: al 16 ottobre 1923 risale l'atto fondativo dell'Università Statale, esattamente 100 anni oggi, e le due date sono incise nella lastra di Candoglia, che diverrà oggetto iconico del nuovo Campus.
A compimento del suo centenario, dopo un lungo percorso, la Statale approda dunque a MIND, dove si svilupperà un Campus scientifico che la porterà nel futuro, ma in un quadro di crescita multipolare dell'Ateneo milanese che è un omaggio alla sua storia, oltre che una scelta di sviluppo rispettoso della sua vocazione multidisciplinare e del valore sociale e culturale dei suoi insediamenti sul territorio.
Una visione di futuro - sviluppata e concretamente avviata - che è il lascito del rettore Elio Franzini e che è naturalmente al centro, declinata con diversi accenti, anche nell’ultimo discorso di inaugurazione del suo mandato.
Destino dei Rettori della Statale, già dal suo primo, Mangiagalli, è quello di dover trovare nuovi spazi, esordisce Franzini: “da sempre, chi si trovi a guidare le università, e che abbia a cuore il bene pubblico, l’interesse degli studenti, della ricerca, della didattica, della cura deve avere l’edificazione di nuovi spazi come un fine irrinunciabile”. Il Campus MIND è nato “dall’intuizione del mio predecessore Luca Vago e proseguirà con chi verrà dopo di me, godendo delle possibilità che visioni diverse possono offrire”, anche se, vuole sottolinearlo il Rettore, “pur essendovi dei nomi a guida, MIND, come Città Studi o la magica ricostruzione della Ca’ Granda dopo i bombardamenti, non sono il frutto soltanto di quelle guide, ma il risultato di migliaia di donne e uomini che, qualsiasi funzione abbiano o abbiano avuto, hanno davvero costruito”. Un passaggio questo che consente al Rettore di rinnovare il suo ringraziamento – e di presentire la sua “inestinguibile nostalgia” – per i “tutti, proprio tutti, (…) essenziali per la crescita di un’istituzione”, una “parità” che Franzini richiama come “una eredità dei miei anni che possa essere rispettata”.
Il Rettore sceglie di non soffermarsi sui dati positivi, che testimoniano di un’Università in crescita - “preferibile, quando si lascia, non fare, per dirla alla milanese, il bauscia” - ma cita sia pure per sommi capi quelli che restano problemi aperti per il sistema universitario italiano: la carenza delle risorse – insufficienti in primis per il diritto allo studio – la permanenza di procedure che rendono “ingessato e impaurito il comparto pubblico”, il precariato della ricerca, sul quale spende parole piuttosto nette: “l’incertezza non aguzza l’ingegno, lo consuma, e bisogna tener conto dei diritti dei nostri ricercatori e soprattutto delle nostre giovani ricercatrici”.
Agli studenti e alle studentesse Franzini dedica come sempre il cuore del suo discorso, richiamando la necessità di “donare loro un futuro che offra maggiori opportunità, sia abitative sia formative, perché, non lo si dimentichi, sono loro che rendono vivo il mondo, che generano un incessante valore”. Il Rettore cita Giovanni Paolo II, rinnovando l’invito a non avere paura, “in primo luogo della loro stessa giovinezza”, e ancora Mangiagalli che nel suo primo discorso inaugurale definiva gli studenti portatori di un “soffio intenso di libertà”, in un Ateneo che deve restare aperto, commenta Franzini, ad ogni “incontro e scontro di idee”.
Una definizione in linea con l’idea di Università che emerge dalle parole del Rettore: tanto più in un mondo “attraversato dalla follia delle guerre”, dovere delle Università è “costruire la pace attraverso la formazione, il dialogo, la condivisione delle culture”. L’Università deve essere “sempre più aperta al mondo, alla diversità, alla differenza (…) perché la storia ha messo in crisi la ragione, le verità unilaterali, le ideologie chiuse e ha svelato visioni del mondo in cui libertà e giustizia non sono già possessi acquisiti ma orizzonti sempre nuovi da riconquistare”.
In sintonia con l’identità profondamente multidisciplinare della Statale, il Rettore ricorda che i saperi “vanno sempre rinnovati non riproducendo un’astratta eternità, bensì costruendo, loro tramite, un sistema di valori civili e sociali. Una visione univoca li distrugge, rende i loro spessori fragili simulacri”.
L’università – al contrario - è “la moltiplicazione degli sguardi, l’attraversamento delle discipline per tenerne vivo lo spessore conoscitivo”. Così, specularmente, è una “complessità infinita, che si perde in innumerevoli sentieri” che emerge quando si tenta di costruire una sola storia della nostra Università, un’unica genealogia.
Il basamento di marmo di Candoglia torna nel finale del discorso del Rettore: icona della nostra storia che, con la nostra storia, “darà colore a questi luoghi”. Se l’Università è “perenne costruzione di una dignità individuale e collettiva”, chiude Franzini, “ricerca, innovazione, riflessione sono il modo per fondare, per proseguire, per posare ogni giorno, e sempre di nuovo, una nuova pietra, al di là delle persone, ma con le persone”.
Ha accenti decisi, che mettono al centro la necessità di un ripensamento urgente delle Università, il discorso di Elia Montani, presidente della Conferenza degli studenti. È alla “sfida antropologica a cui siamo chiamati” che l’università deve saper rispondere, alla necessità di favorire la crescita di “soggetti in grado di vivere la condizione umana planetaria e promuovere un’intelligenza della complessità”. Le sfide che ci attendono, continua Montani, richiedono una sintesi tra formazione ed educazione, “gridano a gran voce la necessità di un soggetto consapevole e critico, cosciente delle proprie responsabilità nei confronti della società, curioso e aperto alla realtà e al suo divenire”.
La prolusione di Carlo Ratti, direttore del MIT Senseable City Lab e autore della visione architettonica del Campus MIND, esplora il ruolo fondamentale dei Campus universitari nel mantenimento dei “legami deboli”, ovvero quell’insieme di relazioni che secondo il sociologo statunitense Mark Granovetter (in uno studio del 1971) “ci collegano a un gruppo di persone più ampio e diversificato” rispetto alle relazioni personali strette. "Collegando diversi circoli sociali, i legami deboli hanno così maggiori probabilità di metterci in contatto con nuove idee e prospettive, sfidando i nostri preconcetti e favorendo l’innovazione e la sua diffusione”.
Carlo Ratti cita un lavoro del suo gruppo al MIT di Boston che attraverso una analisi delle reti di comunicazione all’interno della comunità universitaria durante la pandemia ha potuto dimostrare come lo spazio fisico sia vitale per la creazione di legami deboli: “i legami forti esistenti si approfondivano, mentre i legami deboli vacillavano”. In breve, sottolinea Ratti “mentre le chiamate video o i social media possono aiutarci a mantenere i nostri legami forti, è improbabile che ne creino di nuovi, per non parlare della capacità di questi ultimi strumenti di metterci in contatto con quante più persone esterne ai nostri circoli sociali. Proprio quest'ultima è allora la funzione di un campus universitario, importante oggi più che mai, in una società frammentata".
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