Pubblicato il: 06/08/2025
Una folla di turisti - Immagine tratta da Pixabay

Una folla di turisti - Immagine tratta da Pixabay

A Barcellona, almeno da un paio d’anni, ci sono gruppi organizzati e proteste contro “l’eccesso di turismo” che ha reso la capitale catalana “invivibile” per i suoi residenti, Venezia ha rischiato di finire nella “Lista del patrimonio mondiale in pericolo” dell’UNESCO; le Cinque Terre della Liguria per “resistere” all’assalto dei turisti e del crocierismo stanno sempre più stringendo gli ingressi; ci sono poi gli abissi marini, meta di escursioni “al limite” e le regioni polari dove non solo il riscaldamento climatico, ma anche la presenza dell’uomo sta minacciando l’ambiente naturale; senza dimenticare le cime più alte come l’Everest, con le ormai note code per arrivare alla sommità della più celebre delle montagne. 

Il turismo, insomma, per anni evocato e invocato come leva per lo sviluppo economico e occasione di scambio e conoscenza tra culture si sta trasformando da risorsa in minaccia, non solo per l’ambiente naturale, ma sotto diversi profili che hanno a che fare con l’ampio concetto di vivibilità. 

Su queste contraddizioni e le criticità che il turismo contemporaneo solleva, ricercatrici e ricercatori dell’Università Statale di Milano stanno indagando con il progetto di ricerca ASTER (Addressing exceSsive, exTreme and inaccEssible touRism: an integrated approach for sustainable regulation).  I

Il progetto, spiega Martina Buscemi, docente Diritto internazionale del dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici e Principal Investigator di ASTER, “si propone di analizzare – in prospettiva interdisciplinare – le implicazioni giuridiche, etiche e geografiche delle forme contemporanee di turismo, con un’attenzione specifica su tre scenari turistici particolarmente critici: il turismo estremo, il turismo inaccessibile e il turismo eccessivo”. L’obiettivo di ASTER è riflettere e proporre come e su quali aspetti “una regolamentazione a livello internazionale possa contribuire a orientare il turismo verso modelli più sostenibili, in linea con gli obiettivi di sostenibilità fissati dall’Agenda 2030”. 

Con Martina Buscemi e MariaTeresa Barreca, borsista di ricerca sul progetto ASTER, abbiamo approfondito i temi al centro del lavoro che stanno svolgendo, per comprendere meglio quali sono le criticità attuali e quali le possibili soluzioni per il futuro del turismo. 

 Come nasce il progetto e su quali temi avete scelto di porre l’attenzione?

Il progetto ASTER è stato presentato in risposta ad un bando dell’Ateneo (PSR Linea 3 – “My First SEED Grant”), promosso nel 2023 proprio con l’obiettivo di incentivare progetti innovativi proposti da giovani ricercatrici e ricercatori e promuovere, tra l’altro, la sinergia tra diverse aree disciplinari e la collaborazione tra dipartimenti. Il progetto ha una durata complessiva di 18 mesi e si concluderà a fine dicembre 2025.  L’idea di affrontare gli scenari critici del turismo attraverso diverse lenti disciplinari è scaturita dalla consapevolezza che questi fenomeni, seppur eterogenei, non possono essere totalmente compresi o risolti in modo settoriale, che rischia di essere limitante. Al contrario, abbiamo ritenuto necessario proporre una riflessione congiunta da tre discipline diverse: dal punto di vista del diritto internazionale, della filosofia morale (etica), e naturalmente della geografia.

 Il vostro progetto fa riferimento a tre categorie di turismo: eccessivo, estremo, inaccessibile. Partiamo dal turismo eccessivo o “overtourism”, cosa si intende?

Il turismo “eccessivo” riguarda il sovraffollamento di destinazioni turistiche che si trovano a fronteggiare un afflusso di visitatori superiore alla loro capacità di carico. Questo fenomeno produce evidenti impatti negativi sull’ambiente, può erodere il valore e la fruibilità del patrimonio culturale, nonché compromette la qualità della vita delle comunità locali e della stessa esperienza turistica. 

Il 25 e 26 giugno, al termine del primo anno di attività, abbiamo organizzato un convegno a cui hanno partecipato esperti accademici di tutta Italia, nonché rappresentanti di istituzioni internazionali. In quell’occasione abbiamo riflettuto sui casi di Barcellona, delle Cinque Terre e di Venezia. La capitale catalana è considerata uno dei casi emblematici di overtourism in Europa: la sua crescita turistica, spinta dopo i Giochi olimpici del 1992, favorita dalla diffusione dei voli low-cost e dall’attrattività culturale, ha attraversato diverse fasi fino a generare tensioni sociali, proteste locali e tentativi di gestione attraverso regolamentazioni urbane. Un altro caso emblematico è quello delle Cinque Terre, dove la fragilità ambientale e infrastrutturale si scontra con l’elevato flusso turistico, in particolare legato al crocierismo. Qui si sperimentano soluzioni come la prenotazione obbligatoria, il numero chiuso e modelli di monitoraggio innovativi, utili a costruire strategie di gestione replicabili. Infine, il caso di Venezia e la sua laguna è stato esaminato dal punto di vista della prassi dell’UNESCO relativa all’iscrizione dei siti nella “Lista del patrimonio mondiale in pericolo”. 

Il concetto di overtourism è sempre più usato anche sui media e nella narrazione sui problemi del turismo. Quali sono i nodi principali che solleva? C’è senz’altro un tema di sostenibilità ambientale e sociale, da una prospettiva giuridica e di ricerca quali sono gli aspetti più critici?

Nella narrazione mediatica, il fenomeno è spesso associato a immagini di luoghi sovraffollati, proteste dei residenti, conflitti tra turismo e vita quotidiana. Ma da una prospettiva giuridica, il concetto apre riflessioni più profonde e complesse, a partire dall’assenza di una definizione condivisa in uno strumento internazionale vincolante per gli Stati.

Dal punto di vista del diritto internazionale, infatti, uno degli aspetti più problematici è proprio l’assenza di una cornice giuridica vincolante che disciplini l’attività turistica in quanto tale. Gli strumenti principali - come il Codice Mondiale di Etica del Turismo dell’UN Tourism - sono atti di soft law, ossia privi di valore giuridico vincolante. Questo lascia agli Stati ampia discrezionalità nella regolazione dei flussi turistici, con il rischio di frammentazione, disomogeneità e inefficacia nella gestione. La prima (e unica) convenzione quadro sull’etica del turismo, adottata dalla UN Tourism, ad oggi non è ancora entrata in vigore.

Inoltre, il diritto internazionale riconosce alcuni diritti collettivi — ad esempio quelli delle comunità indigene o delle minoranze — ma non esiste un riconoscimento chiaro del “diritto alla vivibilità” dei residenti rispetto alla pressione turistica. In assenza di una norma espressa, le misure adottate per limitare i flussi (come numero chiuso, ticket d’ingresso, divieti di accesso o di locazione turistica) possono entrare in tensione con altri diritti garantiti, come la libertà di circolazione, il diritto d’impresa o la proprietà privata. Serve quindi una mediazione giuridica più avanzata tra interessi pubblici e privati.

Infine, dal punto di vista della ricerca è anche interessante considerare la mancanza di dati comparabili e omogenei, che rende difficile valutare con precisione gli impatti dell’overtourism e progettare politiche efficaci. Questo apre anche una riflessione proprio sulla costruzione di strumenti analitici affidabili per identificare soglie critiche di pressione turistica. Stabilire quando il turismo da “sostenuto” diventa “eccessivo” non è semplice e richiede un approccio integrato, che tenga conto non solo di dati quantitativi, ma anche delle dimensioni qualitative. 

Altro tema oggetto del progetto è il cosiddetto “turismo estremo”. Anche in questo caso, ne parla la cronaca. Quali problemi solleva dalla vostra prospettiva di ricerca?

Il turismo “estremo” si riferisce a forme di turismo praticate in contesti remoti, pericolosi, e non sottoposti alla giurisdizione degli Stati, come gli abissi marini, le regioni polari o lo spazio extra-atmosferico. In questi casi si aprono questioni complesse sul piano giuridico e ambientale, tra cui la responsabilità in caso di incidenti. Il turismo spaziale, ad esempio, è in forte espansione, in particolare nella forma dei voli suborbitali. Tuttavia, manca una disciplina specifica che ne regoli i rischi, la sicurezza dei turisti e gli impatti ambientali, mentre il diritto internazionale vigente (come il Trattato sullo spazio del 1967) non solo non disciplina l’attività turistica nello spazio, ma non consente di individuare con precisione lo status del turista spaziale. Anche nelle regioni polari, il turismo sta crescendo rapidamente dopo la pandemia, con effetti tangibili sull’ambiente, la fauna e le popolazioni locali. A fronte della scarsità di strumenti giuridici efficaci, si alternano iniziative pubbliche e autoregolamentazioni di “mercato”, la cui efficacia resta però limitata. Infine, l’esplorazione turistica dei fondali marini rappresenta una nuova frontiera particolarmente delicata, oggi resa celebre anche dal tragico incidente del sottomarino Titan del 2023. In questo caso, l’assenza di standard di sicurezza riconosciuti a livello internazionale in materia è particolarmente critica. 

La terza categoria su cui lavorate con il progetto ASTER, è il “turismo inaccessibile”.

Il turismo “inaccessibile” riguarda gli ostacoli che impediscono a molte persone — in particolare a chi ha disabilità fisiche, sensoriali o intellettive — di accedere pienamente all’esperienza turistica. Il turismo, infatti, non è solo un’attività economica, ma un fenomeno culturale e sociale che può contribuire allo sviluppo personale, all’educazione e alla promozione della diversità. Tuttavia, per molte persone con esigenze specifiche, accedere ai viaggi e alla cultura resta una sfida quotidiana. In questo contesto si è sviluppata la nozione di turismo accessibile, che ha progressivamente superato il concetto di semplice adattamento per abbracciare una logica di qualità universale e design inclusivo. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) ha avuto un ruolo centrale in questo riconoscendo il diritto all’accessibilità e imponendo agli Stati di garantire l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, alle comunicazioni e ai servizi pubblici. Il diritto al turismo si collega anche al diritto alla partecipazione alla vita culturale, sancito già nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 27) e nel Patto del 1966 sui diritti economici, sociali e culturali. In linea con questi principi, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per il Turismo ha adottato diverse raccomandazioni per promuovere un turismo accessibile per tutti. Più di recente, inoltre, è stata definita la norma ISO 21902:2021, primo standard internazionale che copre l’intera catena del valore del turismo accessibile. Sebbene non vincolanti, questi strumenti segnano un’importante evoluzione verso una regolamentazione più inclusiva. 

Eccessivo, estremo, inaccessibile. Quali sono i tratti comuni e i punti di contatto tra queste tre categorie del turismo, che corrispondo ad altrettanti aspetti critici?

Queste tre categorie, pur riferendosi a fenomeni differenti per natura e contesto, sono accomunate da alcune caratteristiche fondamentali che ne giustificano l’interesse scientifico e la necessità di una riflessione interdisciplinare congiunta. Ad accomunarle è innanzitutto il fatto che tutte e tre le forme di turismo incidono su beni e valori collettivi di rilevanza globale, ovvero su risorse e valori che non appartengono ad un singolo Stato, ma all’intera comunità internazionale nel suo complesso. Si pensi, ad esempio, all’ambiente naturale messo a rischio dal sovraffollamento turistico o dall’esplorazione di ecosistemi estremi; al patrimonio culturale reso inaccessibile o deteriorato da dinamiche economiche eccessive; oppure ai diritti umani degli individui - come il diritto all’accessibilità, alla partecipazione culturale - che, come affermato in precedenza, sono tutelati dal diritto internazionale e riconosciuti come universali. In tutti e tre i casi, si tratta di situazioni in cui l’attività turistica impatta su beni e valori considerati “comuni”, la cui tutela non può essere delegata esclusivamente alla sovranità statale ma richiede un’azione condivisa a livello internazionale.

In secondo luogo, ciò che li accomuna è la necessità di ripensare il ruolo del diritto internazionale in ambito turistico. Le norme attualmente in vigore risultano spesso frammentarie, inadeguate o del tutto assenti: il turismo spaziale, per esempio, non è disciplinato da trattati specifici e ricade in una zona grigia tra diritto aeronautico e diritto dello spazio; nei fondali marini mancano standard di sicurezza e criteri giurisdizionali chiari; l’accessibilità turistica, pur riconosciuta dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, è ancora ben lontana da una piena attuazione. Anche nel caso dell’overtourism, le risposte normative sono in gran parte lasciate all’iniziativa locale, mancando di un coordinamento efficace tra livelli di governo. In tutti e tre gli scenari emerge quindi un’esigenza comune: quella di rafforzare o creare strumenti giuridici internazionali in grado di rispondere a fenomeni globali che coinvolgono soggetti, territori, beni e diritti oltre i confini nazionali. Infine, queste forme di turismo sollecitano una riflessione critica sul ruolo e la responsabilità degli attori non statali, in particolare dei soggetti privati — operatori turistici, compagnie di trasporto, piattaforme digitali — ma anche dei singoli turisti. 

A che punto è la legislazione italiana ed europea sul turismo? E quale direzione, secondo quanto sta emergendo dal vostro lavoro, dovrebbe prendere?

In Italia manca ancora una normativa che disciplini in modo organico la sostenibilità nel settore turistico. Anche a livello europeo la legislazione sul turismo non è ancora completamente strutturata in modo specifico come avviene per altri settori. 

A livello internazionale, tra gli strumenti principali che si occupano in materia specifica di turismo figurano il Codice Mondiale di Etica del Turismo (1999, UN Tourism), il Codice Internazionale per la Protezione dei Turisti (2021, UN Tourism), le linee guida per il turismo sostenibile e la protezione del patrimonio naturale e culturale (UNESCO, ICOMOS, UNEP), oltre ai sistemi di certificazione ISO. Tutti questi rientrano nella categoria degli strumenti di soft law, come si diceva poc’anzi.

A questo proposito, uno degli aspetti più significativi emersi dal progetto ASTER riguarda proprio la prevalenza di strumenti di carattere volontario nella gestione del turismo a livello internazionale. A oggi, infatti, questo fenomeno è regolato quasi esclusivamente da norme non vincolanti: dichiarazioni, codici etici e raccomandazioni promosse da organizzazioni internazionali. Questo ha vantaggi in termini di flessibilità e di consenso degli Stati, ma pone anche limiti sostanziali in termini di efficacia giuridica e applicabilità concreta.

Un passo importante compiuto dall’UN Tourism è stato il tentativo di trasformare il Codice Mondiale di Etica del Turismo in uno strumento giuridicamente vincolante, attraverso l’adozione della Convenzione Quadro sull’Etica del Turismo. Tuttavia, nonostante l’adozione formale, la Convenzione non è ancora entrata in vigore, poiché non è stata raggiunta la soglia minima di ratifiche necessarie da parte degli Stati.

L’Italia, pur avendo aderito al Codice Mondiale di Etica del Turismo e pur essendosi dotata di strutture operative (come il Centro per la promozione del Codice presso il Ministero del Turismo), non rientra tra gli Stati che hanno ratificato la Convenzione Quadro sull’Etica del Turismo. Questo dato, forse, ci offre un indizio significativo su dove ci troviamo oggi nel percorso verso un turismo davvero sostenibile.

Il progetto ASTER coinvolge i dipartimenti di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici; Lingue, Letterature, Culture e Mediazioni; Filosofia “Piero Martinetti”. All’interno di questi tre dipartimenti, i docenti e ricercatori coinvolti nel progetto sono: Martina Buscemi (PI), Jacopo Re (sostituto PI), Sara Belotti (capo unità dipartimentale), Francesca Minerva (capo unità dipartimentale), Marco Pedrazzi, Dino Gavinelli, Silvia Zorzetto, Roberto Redaelli e Giovanni Baiocchetti. Al team di ASTER si è poi unita MariaTeresa Barreca, borsista di ricerca reclutata sul Progetto.

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